I promettenti risultati con la combinazione di un inibitore di EGFR e un antiangiogenico in pazienti con tumore del polmone EGFR mutato lasciano sperare che lo studio di fase III di osimertinib + bevacizumab possa essere positivo, ma uno studio di fase II giapponese che testava la combinazione è invece deludente.
Akamatsu H, Toi Y, Hayashi H, et al. Efficacy of Osimertinib Plus Bevacizumab vs Osimertinib in Patients With EGFR T790M–Mutated Non–Small Cell Lung Cancer Previously Treated With Epidermal Growth Factor Receptor–Tyrosine Kinase Inhibitor: West Japan Oncology Group 8715L Phase 2 Randomized Clinical Trial. JAMA Oncol. Published online January 07, 2021. doi:10.1001/jamaoncol.2020.6758
Il trattamento standard di prima linea dei pazienti con tumore del polmone avanzato caratterizzato dalla presenza di mutazione comune di Epidermal Growth Factor receptor (EGFR) è oggi rappresentato dall’impiego di osimertinib, che ha dimostrato una sopravvivenza libera da progressione nettamente maggiore rispetto agli inibitori di prima generazione.
Negli ultimi anni, sono stati pubblicati peraltro interessanti risultati di studi randomizzati che hanno associato un anti-angiogenico (bevacizumab o ramucirumab) a un inibitore di EGFR di prima generazione (erlotinib), nella maggior parte dei casi producendo una sopravvivenza libera da progressione significativamente migliore rispetto all’inibitore di EGFR da solo.
Tali combinazioni non si sono affermate nella pratica clinica, in quanto nel confronto indiretto osimertinib come agente singolo vanta un’ottima PFS, rappresenta una scelta ben tollerata dal punto di vista della tossicità, e di semplice somministrazione. Peraltro, quei risultati hanno rappresentato il razionale di sperimentare la combinazione di osimertinib con un antiangiogenico, ipotizzando di poter osservare un miglioramento del controllo di malattia rispetto ad osimertinib da solo.
Come noto, prima dell’impiego come terapia di prima linea, osimertinib è stato sviluppato come terapia di seconda linea dopo fallimento di un precedente inibitore di EGFR, nei casi caratterizzati da presenza di mutazione di resistenza T790M al momento della progressione di malattia. E’ proprio in questo setting che è stato disegnato e condotto lo studio randomizzato recentemente pubblicato da JAMA Oncology.
Lo studio è stato disegnato con l’obiettivo di “esplorare” l’attività e la sicurezza della combinazione di osimertinib e bevacizumab come trattamento di prima linea in pazienti con adenocarcinoma polmonare avanzato, con mutazione T790M di EGFR, in progressione dopo un precedente trattamento con inibitore di EGFR.
Lo studio prevedeva una fase preliminare per la valutazione della sicurezza (in 6 pazienti) e poi prevedeva la fase randomizzata, in cui I pazienti erano randomizzati in rapporto 1:1 al braccio di controllo (osimertinib agente singolo per os, 80 mg al giorno) oppure al braccio sperimentale (osimertinib alla medesima dose 80 mg al giorno per os + bevacizumab alla dose di 15 mg/kg endovena, ogni 3 settimane).
Il trattamento era proseguito, in entrambi i bracci, fino a progressione di malattia o fino a tossicità inaccettabile.
Endpoint primario era la sopravvivenza libera da progressione (PFS, progression-free survival) valutata dagli sperimentatori.
Endpoint secondari erano la proporzione di risposte obiettive (ORR, objective repsonse rate), il tempo al fallimento del trattamento, la sopravvivenza globale, la tollerabilità del trattamento.
Lo studio era dimensionato ipotizzando un miglioramento di 7.4 mesi nella PFS mediana, corrispondente a un hazard ratio pari a 0.55. Con una potenza dell’80% e un errore alfa a 2 code pari a 0.20 (compatibile con la natura esploratoria dello studio di fase II), erano necessari 74 pazienti, incrementati a 80 ipotizzando una perdita di pazienti al follow-up dell’8%.
Nel periodo compreso tra Agosto 2017 e settembre 2018, lo studio ha incluso complessivamente 87 pazienti, dei quali 6 inseriti nella fase preliminare di “lead in” per la verifica della tollerabilità e 81 inseriti nella fase randomizzata.
I pazienti randomizzati avevano un’età mediana di 68 anni (range compreso tra 41 e 82), il 41% erano di sesso maschile e il 46% era asintomatico all’inizio del trattamento (ECOG performance status 0). Il 26% dei pazienti randomizzati aveva metastasi encefaliche.
La proporzione di risposte obiettive è risultata più elevata nel braccio sperimentale (68%) rispetto al braccio trattato con osimertinib da solo (54%).
La sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata pari a 9.4 mesi con la combinazione di osimertinib e bevacizumab e pari a 13.5 mesi con osimertinib da solo (hazard ratio 1.44; intervallo di confidenza all’80%1.00 - 2.08; p = 0.20).
Il tempo al fallimento del trattamento mediano è risultato pari a 8.4 mesi con la combinazione di osimertinib e bevacizumab e pari a 11.2 mesi con osimertinib da solo (p=0.12).
La sopravvivenza mediana non è risultata significativamente diversa nei 2 bracci di trattamento (mediana non raggiunta con la combinazione vs. 22.1 mesi con osimertinib; p = 0.96).
Nel braccio di combinazione, i più comuni eventi avversi severi (grado 3 o peggiore) sono stati la proteinuria (23%) e l’ipertensione (20%).
Commentando il risultato negativo dello studio, gli autori sottolineano che lo studio era condotto nel setting di seconda linea, quindi in pazienti già trattati con un precedente inibitore di EGFR.
Questo per sottolineare che il deludente risultato non è necessariamente predittivo di un fallimento dello studio di fase III, attualmente in corso, che valuta l’aggiunta del bevacizumab all’osimertinib nei pazienti che ricevono il trattamento di prima linea.
Lo studio (NCT04181060) è disegnato come studio randomizzato, in aperto, con la sopravvivenza libera da progressione come endpoint primario, e prevede la randomizzazione di 300 pazienti.
Naturalmente, c’è da augurarsi che lo studio di fase III possa essere positivo e migliorare l’outcome ottenibile con il solo osimertinib, ma indubbiamente il risultato negativo dello studio di fase II pubblicato da JAMA Oncology merita qualche riflessione. E’ sicuramente vero che si tratta di uno studio dalla potenza limitata, ed è sicuramente vero che il setting è diverso rispetto alla prima linea, ma la completa negatività del risultato lascia molto perplessi sulle chance di successo dello studio di fase III.
L’argomento è affrontato molto bene dall’editoriale di Jack West, che accompagna l’articolo. West sottolinea che uno studio di fase III (che comporta un grosso impegno di risorse, oltre che un gran numero di pazienti) dovrebbe essere sempre preceduto dal risultato positivo di uno studio di fase II. Invece, la combinazione di osimertinib e bevacizumab non ha prodotto un risultato positivo nello studio randomizzato di fase II, e anche altri risultati di combinazione di osimertinib con antiangiogenici sono stati tutt’altro che entusiasmanti. Uno studio a singolo braccio della combinazione di osimertinib e bevacizumab ha prodotto una PFS mediana di 18.4 mesi, indirettamente non entusiasmante dal momento che osimertinib da solo aveva prodotto una mediana di 18.9 mesi nello studio registrativo. Uno studio di fase II a singolo braccio di osimertinib + ramucirumab nei pazienti trattati in seconda linea, con la mutazione T790M, ha prodotto una mediana di PFS di 11.0 mesi, laddove osimertinib da solo aveva prodotto una PFS mediana di 10.1 mesi.
C’è da riflettere, insomma, sull’evidenza preliminare necessaria per “imbarcarsi” in uno studio di fase III. Specialmente quando lo studio valuta un trattamento potenzialmente più tossico rispetto allo standard, un razionale forte è uno degli aspetti che rendono etica una sperimentazione clinica…