Da anni, studi condotti in varie neoplasie suggeriscono che l’outcome dei pazienti trattati in centri con maggiore volume di attività sia migliore. Evidenza simile viene da uno studio statunitense condotto nei pazienti con NSCLC localmente avanzato trattati con chemio-radioterapia concomitante.
Wang EH, Rutter CE, Corso CD, Decker RH, Wilson LD, Kim AW, Yu JB, Park HS. Patients selected for definitive concurrent chemoradiation at high-volume facilities achieve improved survival in stage III non-small cell lung cancer. J Thorac Oncol. 2015 Feb 21. [Epub ahead of print]
Esiste un’ampia letteratura, per varie neoplasie solide, sulla relazione tra volume di attività del centro dove il/la paziente viene trattato ed outcome. Questa relazione è particolarmente evidente, in molti tumori, per il trattamento chirurgico (specialmente in termini di mortalità peri-operatoria), ma in molti casi evidenzia anche una maggior efficacia del trattamento in termini di outcome a lungo termine.
Uno studio statunitense, condotto sui dati del National Cancer Data Base, si è focalizzato sui pazienti con NSCLC in stadio III trattati, nel periodo compreso tra il 2004 ed il 2006, con chemio-radioterapia concomitante. Basandosi sulla distribuzione del volume di attività per ciascun centro, gli autori hanno identificato un gruppo di centri “ad elevato volume di attività”, ovvero quelli al di sopra del 90° percentile (con un numero di casi trattati pari ad almeno 12 casi all’anno).
L’analisi ha descritto le caratteristiche dei pazienti, confrontando quelle dei pazienti trattati presso i centri ad elevato volume di attività rispetto alle caratteristiche dei pazienti trattati presso i centri con un volume di attività meno elevato. Gli autori hanno quindi confrontato la sopravvivenza globale dei 2 gruppi, non soltanto mediante analisi univariata ma anche mediante analisi multivariata (inserendo tutte le variabili prognostiche note).
Nel tentativo di rendere meno a rischio di bias il confronto dell’outcome tra i 2 gruppi, gli autori hanno anche applicato il propensity score, ovvero una correzione statistica che consente di tener conto delle variabili che sono associate ad una probabilità più elevata di essere trattati presso centri ad elevato volume di attività.
In totale, sono stati inclusi nell’analisi 10072 pazienti, dei quali il 12% (1207) erano stati trattati presso centri ad elevato volume di attività.
I pazienti trattati presso i centri ad elevato volume di attività presentavano in media un peggior punteggio di Charlson (che misura le patologie concomitanti), un più elevato coinvolgimento linfonodale, e hanno ricevuto in media dosi più elevate, ed una maggiore probabilità di ricevere radioterapia conformazionale 3D o IMRT (radioterapia ad intensità modulata).
La sopravvivenza globale era significativamente più lunga nei centri ad elevata attività (mediana 19.3 mesi vs. 17.3 mesi, p=0.02).
All’analisi multivariata, corretta per le principali variabili demografiche e cliniche, I pazienti trattati presso i centri ad elevato volume di attività presentavano una riduzione statisticamente significativa (anche se abbastanza modesta dal punto di vista dell’entità): Hazard Ratio 0.93, intervallo di confidenza al 95% 0.87-0.99, p=0.03).
Il risultato a favore dei centri ad elevato volume rimaneva statisticamente significativo anche quando corretto per il propensity score:Hazard Ratio 0.91, intervallo di confidenza al 95% 0.84 – 0.99, p=0.04).
L’analisi pubblicata sul Journal of Thoracic Oncology suggerisce che, anche nel setting del trattamento chemio-radioterapico concomitante dei pazienti affetti da NSCLC in stadio localmente avanzato, il volume di attività dei centri possa influenzare l’outcome. Va sottolineato che la differenza in sopravvivenza mediana è di circa 2 mesi, ma l’Hazard Ratio all’analisi multivariata, per quanto statisticamente significativa, è pari a 0.93, quindi la riduzione del rischio è abbastanza modesta.
Gli autori commentano il proprio risultato sottolineando che la miglior performance ottenuta dai centri ad elevata attività potrebbe essere dovuta ad una migliore collaborazione multidisciplinare, alla maggiore concentrazione di specialisti d’organo, ad una maggiore partecipazione ai protocolli, nonché alla possibilità di coordinare la chemioterapia e la radioterapia presso la stessa struttura.
Naturalmente, invocare la “centralizzazione” dei trattamenti ha delle importanti implicazioni sul piano logistico. Trarre conclusioni sulla base di uno studio retrospettivo , pur condotto rispettando un’accurata metodologia statistica, sarebbe frettoloso.
Il dr. Henry Park, ultimo autore della pubblicazione, sottolinea che i risultati non pretendono ovviamente di dare un messaggio definitivo sull’argomento, ma suggeriscono che ulteriore ricerca deve essere condotta per capire definitivamente l’impatto del trattamento presso centri ad elevata attività, in termini di efficacia, tossicità e costi.
Come nota a margine, va sottolineato che molto si discute sulla reale fattibilità dell'approccio concomitante rispetto alla chemio-radioterapia sequenziale, ma questo aspetto, pur essendo particolarmente importante per la gestione pratica dei pazienti, non era oggetto dello studio, che quindi non modifica in alcun modo l'evidenza disponibile su tale quesito.