Patologia polmonare
Giovedì, 22 Giugno 2017

Tumore polmonare: nivolumab upfront non supera la chemioterapia

A cura di Giuseppe Aprile

Portare l'immunoterapia in prima linea è un sogno concreto (KEYNOTE-024). E lo studio Checkmate 026 prometteva faville, confrontando nivolumab vs chemioterapia in pazienti con malattia avanzata non pretrattati. A dispetto delle aspettative, i dati deludono: solo colpa dell'espressione di PD-L1?

Carbone DP, et al. First-Line Nivolumab in Stage IV or Recurrent Non-Small-Cell Lung Cancer. N Engl J Med. 2017 Jun 22;376(25):2415-2426

L'evoluzione del trattamento del paziente con tumore polmonare non ha piccole cellule è stata esponenziale negli ultimi anni. In particolare, vi è stato il prepotente ingresso nella pratica clinica dell'immunoterapia, con l'utilizzo di nivolumab in pazienti con malattia non oncogene-addicted (quindi con EGFR wild-type e ALK/ROS1 non traslocato).

In questa entusiasmente storia, hanno segnato una svolta i risultati ottenuti in seconda linea nei pazienti con NSCLC avanzato, con l’anticorpo anti-PD1 nivolumab utilizzato a fallimento della terapia con platino e quelli del pembrolizumab utilizzato upfron in pazienti non pretrattatti. In particolare, ricordiamo i dati dello studio KEYNOTE 024, lo studio randomizzato di fase 3 che ha sancito la maggiore efficacia di pembrolizumab (200 mg q 21) rispetto ad un trattamento di chemioterapia con platino come trattamento di prima linea dei pazienti con NSCLC avanzato, restringendo tuttavia la selezione dei pazienti a quelli con neoplasia con espressione di PD-L1 pari ad almeno il 50% delle cellule tumorali.

In questo contesto si devono interpretare i dati dello studio CheckMate 026, un trial open-label di fase 3 randomizzato che ha comparato in prima linea nivolumab (3 mg/Kg somministrato ogni 2 settimane) vs una terapia di prima linea platinum-based. Tra i criterio di eleggibilità vi era espressione di PD-L1 superiore al'1%.

Endpoint primario dello studio era la PFS (revisione centralizzata blined delle immagini radiologiche) nei pazienti con espressione di PD-L1 superiore al 5%: il disegno si proponeva di avere un incremento nell'outcome corrispondente a un HR di 0.71.

Interessante anche notare come vi fosse una analisi esploratoria per verificare l'efficacia del trattamento in pazienti con alto carico di mutazioni tumorali (definito considerando il numero di mutazioni somatiche missense presenti alla biopsia basale).

Lo studio ha arruolato nel complesso 423 pazienti con buon performance status (ECOG PS 0-1) e con espressione del PD-L1 superiore al 5%. Questi pazienti rappresentavano il 78% di quelli randomizzati; i pazienti con espressione di PD-L1 superiore al 50% erano il 32% nel braccio trattato con nivolumab e 47% in quelli trattati con chemioterapia.

La precentuale di pazienti con età superiore ai 75 anni era circa il 10% in entrambi i bracci di trattamento.

La PFS mediana è stata di 4.2 mesi nel braccio sperimentale vs 5.9 mesi in quello standard (HR 1.15, 95%CI 0.91-1.45, p=0.25).

Nemmeno la differenza in sopravvivenza overall mediana era significativa con una OS mediana di 14.4 mesi nel braccio sperimentale vs 13.2 mesi in quello standard (HR 1.02, 95%CI 0.80-1.30), sebbene il 60% dei pazienti assegnati al braccio di chemioterapia ricevessero nivolumab in linea successiva.

Non si registravano segnali di novità riguardo al profilo di tossicità dei due trattamenti, che ricalcava i dati già noti.

Lo studio è negativo nel suo endpoint primario, non dimostrando alcuna superiorità in efficacia del nivolumab nei pazienti con NSCLC ed espressione di PD-L1 superiore al 5%.

Detto questo, il risultato di questo importante trial apre il dibattito su alcuni punti.

1. L'importanza della determinazione upfront di PD-L1. Mentre pembrolizumab appare essere il nuovo standard terapeutico in pazienti con NSCLC senza oncogene-addiction e espressione di PD-L1 superiore al 50%, lo standard di prima linea nel paziente con PD-L1 inferiore al 50% rimane quindi la chemioterapia tradizionale.

2. La necessità di studiare un nuovo algoritmo terapeutico. In seconda linea, sia nel caso di adenocarcinoma che di NSCLC squamoso, rimane incerto quale immunoterapico utilizzare se l'espressione di PD-L1 è minore al 50% e quale sia il momento di sfruttare la associazione tra docetaxel e nintedanib.

3. Il differente risultato dell'uso upfront di nivolumab in pazienti con carico mutazionale alto vs medio basso. Nella prima categoria l'immunoterapico pare di vantaggio (HR 0.62, 4 mesi di vantaggio in PFS mediana). Nella seconda, invece, pare evidente un effetto marcatamente negativo (HR 1.82, circa 3 mesi di sriduzione in PFS mediana).