Circa un anno dopo la pubblicazione dei risultati principali dello studio che descriveva l’attività di selpercatinib nei tumori del polmone con fusione di RET, leggiamo ora i risultati di qualità di vita. L’analisi documenta, oltre alla nota attività strumentale, buoni risultati in termini di miglioramento dei sintomi, anche in pazienti che avevano già fallito altre terapie.
Minchom, A., Tan, A.C., Massarelli, E., Subbiah, V., Boni, V., Robinson, B., Wirth, L.J., Hess, L.M., Jen, M.-H., Kherani, J., Olek, E. and McCoach, C.E. (2021), Patient-Reported Outcomes with Selpercatinib Among Patients with RET Fusion–Positive Non-Small Cell Lung Cancer in the Phase I/II LIBRETTO-001 Trial. The Oncol. https://doi.org/10.1002/onco.13976
Lo studio LIBRETTO-001, già presentato e commentato ad agosto 2020 su Oncotwitting (https://www.oncotwitting.it/patologia-polmonare/libretto-per-il-cammino-sulla-retta-via-parte-seconda), ha valutato l’attività di selpercatinib in pazienti con vari tipi di tumore solido caratterizzati dalla presenza della fusione di RET.
Le fusioni del gene RET sono riscontrate nell’1-2% dei casi di tumore del polmone non a piccole cellule (non-small cell lung cancer, NSCLC), e sono caratterizzate da un’elevata tendenza a metastatizzare a livello del sistema nervoso centrale.
Il selpercatinib (precedentemente conosciuto con il nome di LOXO-292) è una piccola molecola, inibitore selettivo dell’attività chinasica di RET. Diversi modelli sperimentali hanno mostrato la sua elevata attività nei confronti di varie alterazioni di RET, non solo fusioni, ma anche mutazioni puntiformi attivanti. Selpercatinib è caratterizzato inoltre da un’elevata penetrazione della barriera emato-encefalica, con evidenze precliniche di elevata attività intracranica.
Sulla base di queste premesse e di evidenze precliniche, lo studio LIBRETTO-001 è stato disegnato come studio di fase 1-2, per valutare l’attività e la sicurezza di selpercatinib in pazienti affetti da tutti i tipi di tumori solidi, caratterizzati dalla presenza di un’alterazione molecolare di RET (sia fusioni che mutazioni puntiformi), tra cui tumori del polmone NSCLC caratterizzati dalla presenza di fusione di RET.
Lo studio ha previsto l’arruolamento di pazienti con NSCLC, sia già precedentemente trattati con chemioterapia a base di platino, sia naive al trattamento per la malattia metastatica. Le due popolazioni corrispondevano a due coorti del medesimo studio di fase 1-2.
Il selpercatinib era somministrato per bocca, tutti i giorni senza interruzioni, fino a progressione di malattia, morte, tossicità inaccettabile o rifiuto del consenso.
Nella fase 1, era prevista una dose-escalation, e i pazienti hanno ricevuto selpercatinib a dosi comprese tra 20 mg una volta al giorno e 240 mg 2 volte al giorno. Era prevista anche un’eventuale dose escalation nel singolo paziente, sulla base della tollerabilità valutata dagli sperimentatori.
Nella fase 2, tutti I pazienti sono stati trattati alla dose di 160 mg due volte al giorno. Al momento della progressione di malattia, i pazienti potevano ricevere selpercatinib “beyond progression” in caso di beneficio clinico a giudizio degli sperimentatori.
Endpoint primario dello studio era la proporzione di risposte obiettive (complete o parziali), determinate sulla base di una valutazione centralizzata indipendente.
Lo studio prevedeva, tra gli endpoint secondari, anche la valutazione della qualità di vita, che è stata misurata mediante la somministrazione del questionario EORTC (European Organization for Research and Treatment of Cancer) Quality of Life Questionnaire (QLQ-C30). Il questionario era somministrato al basale e poi a cicli alterni (quindi ogni 2 mesi circa) fino a un anno dall’inizio del trattamento, e successivamente ogni 3 mesi.
L’analisi presentata nel lavoro si basa sui questionari compilati nel corso del primo anno, a causa dei dati mancanti per i questionari successivi.
Come in numerosi lavori precedenti in letteratura, un cambiamento di almeno 10 punti nel punteggio rispetto al basale è stato giudicato clinicamente rilevante.
I risultati di qualità di vita sono stati analizzati separatamente in 3 sottogruppi di pazienti, sulla base del numero di line di trattamento precedentemente ricevute: pazienti treatment-naive (n=36), che hanno ricevuto il selpercatinib come prima linea di terapia per la malattia avanzata; pazienti che avevano ricevuto una sola precedente linea di terapia (n=64); pazienti che avevano ricevuto due o più linee di terapia (n=136).
Per ciascuno dei questionari considerati (dal basale a 1 anno) il numero dei questionari mancanti rispetto agli attesi era inferiore al 15%.
Sia nell’analisi complessiva, sia nei 3 sottogruppi divisi sulla base dei trattamenti precedenti, la maggior parte dei pazienti ha mostrato una stabilità o un miglioramento nei vari domini di qualità di vita, nel corso del trattamento.
La proporzione di pazienti che ha mostrato un miglioramento clinicamente significativo è risultata tra il 61.7% e il 66.7% nei 3 sottogruppi per quanto riguarda la qualità di vita globale, tra il 33.3% e il 61.1% per quanto riguarda la dispnea, tra il 46.2% e il 63.0% per quanto riguarda il dolore.
Alla prima valutazione successiva al basale (quindi dopo circa 2 mesi), il 45.9% di tutti i pazienti ha riportato una riduzione clinicamente significativa (almeno 10 punti percentuali) del dolore.
Come spesso succede, la qualità di vita è oggetto di una pubblicazione secondaria, a distanza di circa 1 anno rispetto alla pubblicazione principale dello studio, che sulle pagine del New England Journal of Medicine, ad agosto 2020, aveva descritto i risultati di attività del selpercatinib in termini di risposte obiettive, endpoint primario dello studio.
Grazie alla pubblicazione che commentiamo oggi, sappiamo che selpercatinib, nei casi di tumore del polmone con fusioni di RET, si associa non solo a una elevata proporzione di risposte obiettive, ma anche a un impatto positivo in termini di qualità di vita e miglioramento dei sintomi.
Qual è il ruolo delle analisi di qualità di vita in uno studio a braccio singolo, non randomizzato? Sicuramente l’esistenza di un gruppo di controllo consentirebbe, mediante il confronto tra i bracci, di interpretare al meglio l’effetto del trattamento sperimentale sulla qualità di vita. In linea di principio, la descrizione dell’andamento nel tempo della qualità di vita in un braccio singolo, in cui i pazienti hanno ricevuto tutti il trattamento sperimentale, rischia di essere meno facilmente interpretabile.
In una scala “teorica”, posizioneremmo quindi l’evidenza prodotta da uno studio come questo su un gradino inferiore rispetto a uno studio randomizzato. Peraltro, questa critica va “ridimensionata” alla luce dell’elevata attività e dell’elevato impatto sui sintomi evidenziato dal selpercatinib. Con tutti i limiti dei confronti indiretti, sia per attività che per qualità di vita il risultato ottenuto appare migliore di quanto si sarebbe potuto ottenere con i trattamenti disponibili nella pratica clinica.
Per analisi di questo tipo, è innegabile che i dati mancanti rappresentino un problema metodologico. La stima dei cambiamenti nel tempo dei sintomi e della qualità di vita è ad elevato rischio di bias, se un numero significativo di pazienti non compilano i questionari. Come noto, in questa situazione i dati mancanti lo sono “non a caso”, “not at random”, in quanto sono i pazienti in condizioni peggiori ad avere un rischio maggiore di non compilare il questionario, per motivi legati all’andamento di malattia e allo scadimento delle condizioni cliniche. Gli autori sottolineano che la percentuale di dati mancanti era accettabilmente bassa, almeno per il periodo di 1 anno considerato nelle analisi.
Il focus sul primo anno di trattamento enfatizza l’attività del farmaco e il buon controllo di malattia mediamente ottenuto all’inizio del trattamento, ma “trascura” la descrizione di ciò che succede dopo. Sappiamo, naturalmente, che il controllo non è infinito e che, dal punto di vista strumentale, anche i pazienti rispondenti vanno incontro a progressione. Questo aspetto, dal punto di vista delle analisi di qualità di vita, sarebbe meglio catturato con una descrizione del tempo al deterioramento dei sintomi, che gli autori non presentano, a causa dello scarso numero di peggioramenti precoci e della necessità di un follow-up più maturo.
Un’elevata proporzione di controllo e miglioramento dei sintomi ha lo stesso “valore” di un’elevata proporzione di risposte obiettive? Sicuramente, trattandosi di una popolazione ampiamente pretrattata, i risultati ottenuti con il selpercatinib, pur in assenza di un braccio di controllo, documentano un’elevata attività, sul piano strumentale e clinico. Il dato della qualità di vita “consolida” il dato dell’attività strumentale. Come già i dati ottenuti in altre sottopopolazioni molecolari ci avevano mostrato, la disponibilità di un farmaco target veramente attivo sul tumore del polmone consente non solo di ottenere risposte strumentali e controllare più o meno a lungo la malattia, ma anche di sperare in un buon controllo dei sintomi e della qualità di vita.
Conforta il fatto che, sia per la qualità di vita globale che per i singoli sintomi, la proporzione di peggioramenti precoci è veramente bassa, rispetto all’elevato numero di pazienti stabili e soprattutto migliorati. I grafici presenti nel lavoro hanno una distribuzione molto diversa rispetto a quelli storicamente visibili negli studi con la chemioterapia, in cui le proporzioni di rispondenti, stabili e peggiorati erano, in media, molto meno favorevoli rispetto alla distribuzione osservata nella pubblicazione che stiamo commentando.