Presentati all’ASCO e pubblicati sul New England Journal of Medicine i risultati dello studio randomizzato LAURA, condotto nei pazienti con NSCLC localmente avanzato, non resecabile. Anche in questo setting, nei casi caratterizzati da mutazione di EGFR, il trattamento target (osimertinib) dimostra efficacia nel controllare la malattia.
Lu S, Kato T, Dong X, Ahn MJ, Quang LV, Soparattanapaisarn N, Inoue T, Wang CL, Huang M, Yang JC, Cobo M, Özgüroğlu M, Casarini I, Khiem DV, Sriuranpong V, Cronemberger E, Takahashi T, Runglodvatana Y, Chen M, Huang X, Grainger E, Ghiorghiu D, van der Gronde T, Ramalingam SS; LAURA Trial Investigators. Osimertinib after Chemoradiotherapy in Stage III EGFR-Mutated NSCLC. N Engl J Med. 2024 Jun 2. doi: 10.1056/NEJMoa2402614. Epub ahead of print. PMID: 38828946.
Negli ultimi anni, l’osimertinib, inibitore di nuova generazione dell’Epidermal Growth Factor Receptor (EGFR), è diventato il trattamento standard dei casi di tumore del polmone non a piccole cellule (non-small cell lung cancer, NSCLC) avanzato, caratterizzati dalla presenza di mutazione di EGFR, dimostrandosi nettamente superiore agli inibitori precedentemente disponibili, come gefitinib ed erlotinib.
Più recentemente, lo stesso farmaco ha dimostrato anche di essere efficace quando somministrato come terapia adiuvante nei casi operati, naturalmente sempre selezionati per la presenza di mutazione di EGFR.
Pertanto, nella pratica clinica possono oggi beneficiarsi di un trattamento target sia i pazienti con malattia metastatica sia i pazienti operati per una malattia diagnosticata in stadio precoce, mentre prima dello studio presentato all’ASCO 2024 non c’era evidenza di efficacia del trattamento target nei casi diagnosticati in stadio localmente avanzato, non resecabile.
Per tali pazienti, il trattamento standard è rappresentato dalla combinazione di chemioterapia e radioterapia, indipendentemente dal profilo molecolare del tumore. L’unica novità recente in questo setting era stata la dimostrazione di efficacia del consolidamento con il durvalumab, ma è noto che l’immunoterapia non è efficace nei casi caratterizzati da “oncogene addiction”, come appunto i casi con mutazione di EGFR.
Per tali pazienti, quindi, il trattamento standard è stato a lungo rappresentato dalla chemio-radioterapia seguita dall’osservazione, e dall’eventuale impiego del farmaco target solo al momento della progressione di malattia.
Lo studio LAURA presentato all’ASCO 2024 e pubblicato simultaneamente sulle pagine del New England Journal of Medicine, era uno studio randomizzato di fase III, condotto in cieco.
Lo studio prevedeva la randomizzazione di pazienti con NSCLC localmente avanzato, non resecabile, che avessero completato il trattamento standard chemio-radioterapico, senza progressione di malattia.
I pazienti erano randomizzati, in rapporto 2:1, al braccio sperimentale (trattamento con osimertinib, alla dose standard) oppure al braccio di controllo (placebo).
Il protocollo non prevedeva una durata predefinita del trattamento, che poteva essere continuato indefinitamente fino a progressione di malattia oppure fino a tossicità inaccettabile.
L’endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS) valutata mediante revisione centralizzata indipendente.
Lo studio ha visto la randomizzazione di 216 pazienti, sottoposti a trattamento chemio-radioterapico. Nel dettaglio, 143 pazienti sono stati assegnati al braccio sperimentale, che prevedeva il trattamento con osimertinib, e 73 pazienti sono stati assegnati al braccio di controllo, che prevedeva il trattamento con placebo.
E’ stato evidenziato un significativo beneficio in termini di sopravvivenza libera da progressione a favore del trattamento con osimertinib: nel dettaglio, la PFS mediana è risultata pari a 39.1 mesi nel braccio sperimentale e pari a 5.6 mesi nel braccio di controllo (hazard ratio 0.16, intervallo di confidenza al 95% 0.10 - 0.24; p<0.001).
A 12 mesi dalla randomizzazione, la probabilità di essere liberi da progressione era pari al 74% nel braccio sperimentale (intervallo di confidenza al 95%, 65 - 80) e pari al 22% nel braccio di controllo (intervallo di confidenza al 95%, 13 - 32).
L’analisi ad interim di sopravvivenza globale è basata su una maturità pari al 20%, e ha evidenziato una probabilità di essere vivi a 36 mesi pari all’84% nel braccio sperimentale (intervallo di confidenza al 95%, 75 - 89) e pari al 74% nel braccio di controllo (intervallo di confidenza al 95%, 57 - 85), corrispondente a hazard ratio 0.81 (intervallo di confidenza al 95%, 0.42 - 1.56; p=0.53).
L’incidenza di eventi avversi severi (di grado 3 o peggiore) è risultata pari al 35% nel braccio sperimentale e pari al 12% con il placebo. L’incidenza di polmonite (nella maggior parte dei casi di grado lieve o moderato) è risultata rispettivamente pari al 48% e al 38% nei 2 bracci.
Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori concludono che il trattamento con osimertinib ha prodotto un risultato chiaramente positivo, determinando un netto miglioramento della sopravvivenza libera da progressione in pazienti con NSCLC localmente avanzato, non resecabile, caratterizzato dalla presenza di mutazione di EGFR.
Il risultato è sicuramente notevole nella dimensione del beneficio, ma la positività era attesa, sulla base del meccanismo d’azione del farmaco sperimentale e dell’efficacia già ampiamente dimostrata nel trattamento della malattia metastatica, nonché nel ritardare la recidiva di malattia quando impiegato nel setting adiuvante.
Va sottolineato, peraltro, che il trattamento chemio-radioterapico nello stadio localmente avanzato viene proposto e somministrato come un trattamento potenzialmente in grado di determinare un controllo definitivo di malattia. Da questo punto di vista, si impongono due considerazioni.
La prima riflessione è che l’outcome nel braccio di controllo è veramente scadente: a distanza di pochi mesi dalla randomizzazione, la maggioranza dei pazienti aveva già avuto evidenza strumentale di progressione di malattia. Questo, se da una parte conferma l’evidente necessità di migliorare l’attuale standard terapeutico, dall’altra fa venire il dubbio che alcuni di questi pazienti potessero essere in realtà già metastatici (anche se non riconosciuti dalla stadiazione prevista dal protocollo). Ciò detto, osimertinib è in grado di garantire un controllo di malattia nettamente migliore rispetto alla sola osservazione.
D’altra parte, deve far riflettere anche il fatto che il protocollo prevedeva un trattamento di durata “indefinita”. Questa scelta è coerente con l’impiego dei farmaci target nella malattia avanzata, dove si presume che il controllo di malattia abbia bisogno della prosecuzione del trattamento farmacologico, mentre ad esempio quando questi farmaci vengono testati nel setting adiuvante si opta per una durata definita (arbitraria) del trattamento. Come regolarsi nel caso di un consolidamento per una malattia localmente avanzata? Un trattamento di durata indefinita potrebbe essere un sovratrattamento per alcuni pazienti? Probabilmente sì, anche se al momento non siamo in grado di identificarli con precisione.
E’ auspicabile che in futuro si riesca a identificare meglio (ad esempio con metodiche di biopsia liquida che consentano di identificare la malattia residua dopo il trattamento) i pazienti che hanno veramente bisogno di un trattamento farmacologico continuato. Dopo la dimostrazione di efficacia di un farmaco target come osimertinib nella popolazione intention-to-treat di uno studio randomizzato, l’ulteriore caratterizzazione di chi necessita davvero di un consolidamento (con una stadiazione strumentale e potenzialmente molecolare ottimale) rappresenterebbe un passo ulteriore verso l’ottimizzazione delle terapie personalizzate.