In attesa dei risultati dello studio di fase III che confronta il patritumab deruxtecan con la chemioterapia dopo osimertinib nei pazienti con NSCLC avanzato con mutazione di EGFR, lo studio di fase II pubblicato dal Journal of Clinical Oncology ne descrive l'attività
Helena A. Yu, Yasushi Goto, Hidetoshi Hayashi, Enriqueta Felip, James Chih-Hsin Yang, Martin Reck, Kiyotaka Yoh, Se-Hoon Lee, Luis Paz-Ares, Benjamin Besse, Paolo Bironzo, Dong-Wan Kim, Melissa L. Johnson, Yi-Long Wu, Thomas John, Steven Kao, Toshiyuki Kozuki, Erminia Massarelli, Jyoti Patel, Egbert Smit, Karen L. Reckamp, Qian Dong, Pomy Shrestha, Pang-Dian Fan, Parul Patel, Andrea Sporchia, David W. Sternberg, Dalila Sellami, and Pasi A. Jänne. HERTHENA-Lung01, a Phase II Trial of Patritumab Deruxtecan (HER3-DXd) in Epidermal Growth Factor Receptor–Mutated Non–Small-Cell Lung Cancer After Epidermal Growth Factor Receptor Tyrosine Kinase Inhibitor Therapy and Platinum-Based Chemotherapy. Journal of Clinical Oncology Published online September 10, 2023. DOI: 10.1200/JCO.23.01476
Da alcuni anni, dopo la dimostrazione di superiorità rispetto ai precedenti inibitori di Epidermal Growth Factor Receptor (EGFR), osimertinib è diventato per tutte le linee guida internazionali il trattamento standard di prima linea dei pazienti affetti da tumore del polmone non a piccole cellule (non-small cell lung cancer, NSCLC) avanzato, caratterizzato dalla presenza di mutazione di EGFR.
Osimertinib si associa a elevata chance di risposta obiettiva, e a un controllo di malattia che mediamente dura circa un anno e mezzo. Purtroppo, analogamente a numerosi altri trattamenti target sia nel tumore del polmone che in altri tumori solidi, l’impiego di questo farmaco a bersaglio molecolare si associa, dopo l’iniziale controllo di malattia, alla comparsa di progressione, corrispondente alla selezione di cloni cellulari caratterizzati da resistenza al trattamento. Ad oggi, la chemioterapia rappresenta l'opzione standard per i pazienti che abbiano sviluppato resistenza all’osimertinib, dal momento che l’attività attesa con gli inibitori di precedente generazione dopo osimertinib è assolutamente modesta.
La ricerca clinica, di conseguenza, si è concentrata sia sull’eventuale miglioramento dell’efficacia del trattamento di prima linea, sia sull’identificazione di strategie efficaci al momento della comparsa di resistenza.
HER3 è espresso in un’elevata percentuale dei casi di NSCLC con mutazione di EGFR, e risulta associato ad alcuni meccanismi di resistenza. Patritumab deruxtecan, abbreviato con la sigla “HER3-DXd”, è un farmaco anticorpo-coniugato (antibody-drug conjugate, ADC), costituito da un anticorpo monoclonale diretto contro HER3 legato a un payload citotossico, inibitore della topoisomerasi di tipo I, il deruxtecan.
Lo studio di fase II pubblicato dal Journal of Clinical Oncology a settembre 2023 ha valutato l’attività e la sicurezza del patritumab deruxtecan nei pazienti affetti da NSCLC con mutazione di EGFR. Nel dettaglio, i pazienti erano pretrattati con inibitore di EGFR e con la chemioterapia a base di platino.
Lo studio prevedeva due gruppi corrispondenti a due diverse dosi: un gruppo riceveva il farmaco alla dose fissa di 5.6 mg/kg, naturalmente per via endovenosa, ogni 3 settimane. L’altro gruppo riceveva invece un dosaggio progressivamente crescente con una titolazione intra-paziente, con 3.2 mg/kg al primo ciclo, 4.8 mg/kg al secondo ciclo e 6.4 mg/kg dal terzo ciclo. Tale strategia di titolazione era nel frattempo testata in uno studio di fase I, sulla base del razionale di una possibile migliore tollerabilità del farmaco rispetto alla dose fissa.
Endpoint primario dello studio era la proporzione di risposte obiettive confermate (objective response rate, ORR), secondo i criteri RECIST 1.1, sulla base di una valutazione centralizzata. Lo studio era stato disegnato e dimensionato sulla base di una ipotesi nulla di attività pari al 26.4% e una proporzione auspicata di risposte obiettive pari al 37%. Tale ipotesi richiedeva l’inserimento in studio di 210 pazienti.
L’arruolamento nel braccio di studio che riceveva la dose con titolazione intra-paziente è stato chiuso precocemente, come pianificato dal protocollo, sulla base delle evidenze provenienti dallo studio di fase I, che non hanno confermato la convenienza della schedula in termini di tollerabilità.
Complessivamente, 225 pazienti sono stati inclusi nel braccio trattato con la dose fissa di 5.6 mg/kg. La grande maggioranza di tali pazienti (209) avevano ricevuto osimertinib come inibitore di EGFR.
La proporzione di risposte obiettive confermate è stata pari al 29.8% (intervallo di confidenza al 95%, 23.9 – 36.2). La durata mediana della risposta è stata pari a 6.4 mesi e la sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata pari a 5.5 mesi, con una sopravvivenza globale mediana pari a 11.9 mesi.
I risultati nei 209 pazienti che avevano ricevuto osimertinib come inibitore di EGFR sono stati simili a quelli descritti nella popolazione complessiva (che peraltro differiva per soli 16 casi in più).
L’analisi esploratoria dei biomarker ha evidenziato risposte obiettive in casi caratterizzati da diversi meccanismi di resistenza alla biopsia eseguita al momento della precedente progressione e da diversi livelli di espressione di HER3, non consentendo di identificare dei chiari fattori predittivi positivi o negativi di attività.
L’analisi dei 30 pazienti che presentavano metastasi encefaliche non irradiate ha documentato una proporzione di risposte obiettive a livello del sistema nervoso centrale pari al 33.3% (intervallo di confidenza al 95%, 17.3 – 52.8).
La durata mediana del trattamento nella popolazione di pazienti valutabile per la sicurezza è stata pari a 5,5 mesi. Eventi avversi in corso di trattamento (Treatment-emergent adverse events) di grado ≥ 3 e ≥ 4 si sono verificati rispettivamente nel 64,9% e nel 28,9% dei pazienti. I TEAE di grado ≥ 3 più comuni sono stati le tossicità ematologiche; quelli che si sono verificati in > 15% dei pazienti sono stati trombocitopenia (20,9%) e neutropenia (19,1%). Il tempo mediano alla prima insorgenza degli eventi di grado ≥ 3 è stato di 8 giorni per la trombocitopenia e 21 giorni per la neutropenia.
Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori dello studio concludono che il patritumab deruxtecan ha dimostrato attività (il termine effettivamente impiegato nel lavoro è “efficacy”) clinicamente rilevante, con un numero non trascurabile di risposte obiettive, di discreta durata, verificate anche nei casi di interessamento del sistema nervoso centrale.
La proporzione di risposte obiettive effettivamente documentata è in realtà inferiore a quella auspicata in sede di disegno e dimensionamento dello studio (che era 37%). Peraltro, l’attività del farmaco, in un contesto clinico in cui ad oggi non esistono alternative concrete alla chemioterapia per i pazienti nei quali il tumore vada in progressione con osimertinib, giustifica l’attesa per i risultati dello studio di fase III attualmente in corso (HERTHENA-Lung02; ClinicalTrials.gov identifier: NCT05338970).
Gli antibody-drug conjugates stanno ottenendo risultati clinicamente importanti in numerosi tipi di tumori solidi, e ragionevolmente molte delle indicazioni in cui stanno ottenendo risultati promettenti diventeranno parte della pratica clinica. Si tratta, mediamente, di farmaci caratterizzati da un profilo di tollerabilità molto diverso rispetto ai farmaci a bersaglio molecolare finora impiegati, e il setting del NSCLC con mutazione di EGFR ne è un esempio lampante.
La caratterizzazione delle resistenze ha documentato, anche nel caso del NSCLC con mutazione di EGFR trattato con osimertinib, un’importante eterogeneità dei meccanismi molecolari associati alla progressione di malattia. E’ ragionevole pensare che un singolo farmaco possa rappresentare la scelta ottimale per tutti i casi in progressione, indipendentemente dal meccanismo di resistenza? Probabilmente no, ma la strada da percorrere per ottimizzare la selezione dei pazienti, in termini di fattori predittivi positivi o negativi, è ancora abbastanza lunga.