In assenza di studi randomizzati che documentino l’efficacia della prosecuzione dell’inibitore di EGFR oltre la progressione RECIST nei pazienti con NSCLC avanzato e mutazione di EGFR, dati retrospettivi confermano la fattibilità di tale strategia…
Lo PC, Dahlberg SE, Nishino M, Johnson BE, Sequist LV, Jackman DM, Jänne PA, Oxnard GR. Delay of treatment change after objective progression on first-line erlotinib in epidermal growth factor receptor-mutant lung cancer. Cancer. 2015 Apr 15. doi: 10.1002/cncr.29397. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 25876525.
Da alcuni anni, è ormai diffuso il concetto che la progressione di malattia nei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) avanzato, con mutazione di EGFR, trattati con un inibitore di tirosino chinasi, può essere in molti casi una progressione clinicamente “lenta” e in poche sedi di malattia. Tale situazione clinica consente di prendere in considerazione la prosecuzione del trattamento in corso, anche dopo la progressione formalmente definita secondo criteri RECIST. Non esistono però dimostrazioni formali dell’efficacia di tale prosecuzione del trattamento, rispetto ad un immediato cambio di terapia (che può essere, ad esempio, rappresentato dalla chemioterapia nei pazienti che abbiano ricevuto l’inibitore come prima linea di trattamento).
In assenza di dimostrazioni formali di beneficio, sono stati molto discussi, negli ultimi mesi, i dati dello studio asiatico ASPIRATION, presentato all'ESMO nel 2014, che documentava la possibilità, in una rilevante percentuale di pazienti EGFR mutati, di proseguire il trattamento con erlotinib anche dopo la progressione definita secondo criteri RECIST, ottenendo nei fatti un “prolungamento” del tempo tra la progressione “formale” e il "fallimento" vero e proprio, ovvero la successiva progressione “clinica”.
I dati recentemente pubblicati su Cancer da Lo e colleghi aggiungono ulteriore evidenza a questo interessante argomento. Gli autori hanno descritto retrospettivamente i dati di pazienti trattati, tra il 2003 ed il 2009, nell'ambito di 3 studi che prevedevano la somministrazione di erlotinib come trattamento di prima linea. Lo stato mutazionale di EGFR è stato analizzato a posteriori. Gli autori hanno quindi descritto:
• La frequenza del ritardo nel cambiamento di terapia dopo la progressione formale secondo RECIST;
• Il TTC (time until treatment change) ovvero l’intervallo di tempo trascorso tra la progressione formale secondo RECIST e l’inizio di un successivo trattamento (o la morte);
• Il confronto, a posteriori, della frequenza del ritardo nel cambiamento del trattamento nei pazienti con mutazione di EGFR rispetto ai pazienti EGFR wild type;
• Le caratteristiche alla progressione di malattia associate ad una più lunga prosecuzione del trattamento con erlotinib.
Complessivamente, gli autori descrivono i dati relativi a 92 pazienti, in quanto, dei 177 pazienti complessivamente trattati con erlotinib in prima linea nei 3 studi, sono stati esclusi dalla presente analisi quelli nei quali non era possibile ottenere l’informazione sullo stato mutazionale e quelli che avevano interrotto il trattamento con erlotinib prima della progressione, per altri motivi (tossicità, rifiuto, etc.).
Dei 92 pazienti trattati, 42 sono risultati positivi per la mutazione di EGFR e 50 senza mutazione.
Dei 42 pazienti positivi per la mutazione di EGFR, 28 (pari al 66%) avevano proseguito l’erlotinib oltre la definizione formale di progressione: di essi, 21 (il 50%) ha avuto un TTC, vale a dire un ritardo nell’inizio della linea successiva di trattamento rispetto alla progressione RECIST, superiore a 3 mesi. Il TTC del gruppo di pazienti EGFR mutati è risultato significativamente più lungo rispetto al gruppo di controllo senza mutazione di EGFR.
L’impiego di trattamenti locali non era stato molto rilevante, in quanto solo 2 pazienti avevano ricevuto trattamenti locali durante la prosecuzione del trattamento con erlotinib.
L’analisi multivariata ha evidenziato che gli elementi associati ad un più lungo TTC, nei pazienti con mutazione di EGFR, erano:
• Un più lungo time to progression;
• Una più lenta progressione (intesa come entità del cambiamento tra il controllo strumentale che documentava la progressione e il precedente controllo strumentale);
• Assenza di nuove metastasi extra-toraciche.
I criteri RECIST, come noto, sono nati per uniformare la definizione di risposta e di progressione nell’ambito delle sperimentazioni cliniche, e non come regola universale per le decisioni cliniche. Peraltro, la progressione RECIST viene comunemente identificata con il fallimento del trattamento, e quindi con la necessità di iniziare, se clinicamente indicato, una diversa linea di trattamento.
Per i pazienti con NSCLC avanzato e mutazione di EGFR, le linee guida AIOM 2014 raccomandano, come terapia di seconda linea in pazienti che abbiano ricevuto un inibitore di EGFR come prima linea, la chemioterapia con platino. Il problema aperto è: quando considerare “fallito” il trattamento di prima linea? Sempre al momento della progressione RECIST o eventualmente in seguito, al momento della franca progressione clinica?
I dati dello studio di Lo e colleghi dimostrano, come già suggerito dallo studio ASPIRATION, che l’intervallo tra la progressione strumentale e la progressione clinica può essere anche di vari mesi.
Naturalmente, lo studio era retrospettivo e la descrizione della prosecuzione del trattamento con erlotinib oltre la progressione RECIST non equivale ad una dimostrazione di efficacia, rispetto alla possibile strategia alternativa di interruzione di erlotinib e inizio immediato di una diversa linea di trattamento. In linea di principio, tale dimostrazione di efficacia dovrebbe venire da studi randomizzati. Peraltro, l’andamento “lento” della progressione di malattia in alcuni pazienti rende “empiricamente” ragionevole la strategia terapeutica descritta (prosecuzione dell’inibitore di EGFR dopo la progressione RECIST), che è elencata tra le possibili opzioni terapeutiche nelle linee guida NCCN.