JCO pubblica un piccolo studio americano in cui i pazienti con NSCLC metastatico, dopo fallimento della prima linea, venivano trattati con erlotinib e trattamenti locali. Risultati interessanti, ma viziati da un grande bias di selezione!
Iyengar P, Kavanagh BD, Wardak Z, Smith I, Ahn C, Gerber DE, Dowell J, Hughes R, Abdulrahman R, Camidge DR, Gaspar LE, Doebele RC, Bunn PA, Choy H, Timmerman R. Phase II Trial of Stereotactic Body Radiation Therapy Combined With Erlotinib for Patients With Limited but Progressive Metastatic Non-Small-Cell Lung Cancer. J Clin Oncol. 2014 Oct 27. [Epub ahead of print]
Tradizionalmente, nel paziente con NSCLC metastatico i trattamenti locali hanno solo un ruolo palliativo. Negli ultimi anni, nel sottogruppo di pazienti con neoplasia oncogene-addicted in trattamento con farmaci a bersaglio molecolare, in caso di progressione di malattia oligo-metastatica, si discute l'opportunità di proseguire il trattamento sistemico associando un trattamento locale sulle sedi metastatiche, pur non essendoci una solida dimostrazione di efficacia di tale strategia terapeutica.
Nella maggioranza dei casi di NSCLC avanzato, peraltro, senza alterazioni molecolari "druggable", i trattamenti sistemici rappresentano l'unica opzione di provata efficacia, e le linee guida non contemplano l'impiego di trattamenti locali, se non a scopo palliativo. Autori statunitensi hanno recentemente pubblicato sul Journal of Clinical Oncology uno studio di fase II per valutare la combinazione di un trattamento sistemico di seconda linea con erlotinib e trattamenti locali sulle sedi metastatiche.
Lo studio pubblicato su JCO prevedeva l'eleggibilità di pazienti con NSCLC metastatico, che avessero fallito il trattamento di prima linea a base di platino, e che presentassero progressione di malattia con non più di 6 siti extracranici.
Il protocollo prevedeva il trattamento con erlotinib e con il trattamento locale (SBRT) su tutte le sedi metastatiche, fino a progressione di malattia.
Complessivamente, sono stati trattati 24 pazienti (13 maschi e 11 femmine), con un'età mediana pari a 67 anni (range, 56-86). Dal momento che ciascun paziente poteva presentare più di un sito di malattia, i siti complessivamente trattati sono stati 52, e in particolare 16 pazienti su 24 hanno ricevuto SBRT su più di un sito metastatico. Il sito di malattia più frequentemente irradiato era il parenchima polmonare.
L'informazione relativa allo stato mutazionale di EGFR era incompleta, essendo nota solo in 13 casi, dei quali nessuno è risultato positivo per la mutazione.
La casistica dello studio ha ottenuto una sopravvivenza libera da progressione mediana pari a 14.7 mesi, e una sopravvivenza globale mediana pari a 20.4 mesi.
Il trattamento combinato è risultato complessivamente ben tollerato, con 2 tossicità di grado 3 correlate al trattamento radiante.
Gli autori dello studio sottolineano che l'outcome della piccola casistica presentata è risultato interessante se confrontato indirettamente con l'outcome di pazienti con NSCLC metastatico normalmente candidati al trattamento di seconda linea. Infatti, una PFS di 14 mesi e una sopravvivenza globale di 20 mesi sono sicuramente più lunghe di quelle ottenibili in casistiche non selezionate. Il problema, tuttavia, è che lo studio statunitense è sicuramente gravato da un importante bias di selezione, in quanto per essere eleggibili i pazienti dovevano avere poche sedi di malattia metastatica, e non presentare controindicazioni alla combinazione del trattamento sistemico e del trattamento locale.
Questo bias di selezione rende difficile l'interpretazione del risultato, come sottolineato dall'editoriale che accompagna la pubblicazione dell'articolo su JCO. In generale, nello studiare la possibilità di impiego dei trattamenti locali nel NSCLC metastatico, non bisogna confondere la fattibilità con l'efficacia. Lo studio americano, evidenziando poche tossicità, ha forse provato che in pazienti selezionati è possibile combinare i trattamenti locali alla terapia farmacologica sistemica, ma certamente non prova l'efficacia di questa strategia.
E' auspicabile che, in futuro, l'eventuale impiego di trattamenti locali nei pazienti con malattia metastatica sia supportato da evidenze più solide. In caso contrario, è a nostro avviso del tutto ragionevole che le linee guida continuino a non prevedere questa opzione terapeutica.