Come il crizotinib, anche il ceritinib si dimostra superiore alla chemioterapia di prima linea nei tumori del polmone ALK+, ma gli studi registrativi spesso non rispondono a rilevanti quesiti clinici, come la miglior sequenza terapeutica e la miglior scelta tra farmaci per la medesima indicazione
In accordo alle principali linee guida nazionali ed internazionali, la diagnosi di NSCLC avanzato (con la sola eccezione dei tumori squamosi puri) impone la caratterizzazione molecolare in termini di assetto mutazionale di EGFR e di traslocazione di ALK. A breve, l'eventuale traslocazione di ALK sarà finalmente rilevante anche in Italia per la scelta del trattamento di prima linea, in quanto crizotinib diventerà rimborsato anche in quest'ultima indicazione (al momento, è rimborsato nel nostro paese per il trattamento di seconda linea).
Altri farmaci inibitori di ALK sono da vario tempo in sviluppo clinico, e tra essi ceritinib ha già prodotto risultati di efficacia dopo il fallimento di crizotinib.
Lo studio ASCEND-4 ha valutato l'efficacia e la tollerabilità di ceritinib come trattamento di prima linea dei pazienti con NSCLC avanzato caratterizzato dalla traslocazione di ALK.
ASCEND-4 era uno studio randomizzato di fase 3, che prevedeva l'inclusione di pazienti in stadio IIIB e IV, con performance status compreso tra 0 e 2 secondo ECOG, ad istologia non squamosa, con traslocazione di ALK, che non avessero ricevuto alcun precedente trattamento per la malattia avanzata.
Lo studio era condotto in aperto: i pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano ceritinib, somministrato per via orale, alla dose di 750 mg al giorno, mentre i pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano una chemioterapia a base di platino (cisplatino 75 mg/m2 oppure carboplatino AUC 5-6) in combinazione con pemetrexed (500 mg/m2), ogni 3 settimane per 4 cicli, seguiti da mantenimento con pemetrexed.
La randomizzazione era stratificata in base al performance status (0 vs 1-2), all'eventuale trattamento chemioterapico adiuvante o neoadiuvante precedentemente ricevuto, e alla presenza di metastasi encefaliche.
Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da progressione (PFS), mediante revisione indipendente, in cieco, centralizzata. L'analisi era condotta secondo il principio dell'intention to treat, su tutti i pazienti randomizzati.
La tollerabilità del trattamento è stata invece valutata sul “safety set”, includente tutti i pazienti che avessero ricevuto almento una dose del farmaco sperimentale.
Complessivamente, lo studio ha visto la randomizzazione di 376 pazienti, inclusi tra l'agosto 2013 e il maggio 2015: 189 pazienti sono stati assegnati a ceritinib, e 187 pazienti sono stati assegnati al braccio di controllo trattato con chemioterapia.
Circa il 30% dei pazienti aveva metastasi cerebrali al momento dell'inserimento nello studio.
La sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata pari a 16.6 mesi con ceritinib, e 8.1 mesi con la chemioterapia (Hazard Ratio 0.55, intervallo di confidenza al 95% 0.42 – 0.73, p<0.00001). L'analisi basata sulla PFS stimata dalla valutazione degli sperimentatori ha prodotto risultati simili all'analisi centralizzata indipendente.
Le analisi di sottogruppo non hanno documentato significative interazioni tra le principali caratteristiche dei pazienti e l'efficacia del ceritinib, grossolanamente riprodotta in tutti i sottogruppi analizzati.
Il trattamento con ceritinib è risultato associato a diarrea nell'85% dei pazienti, nausea nel 69%, vomito nel 66%, e aumento delle transaminasi nel 60% dei pazienti.
Gli autori sottolineano che, rispetto alla chemioterapia contenente platino, il ceritinib risulta associato ad un controllo di malattia significativamente più lungo, con una sopravvivenza libera da progressione mediana più che raddoppiata.
Da sottolineare, comunque, che il trattamento target risulta associato ad un profilo di effetti collaterali tutt'altro che trascurabile: le percentuali di pazienti con nausea, vomito, diarrea sono più elevate rispetto alla chemioterapia. Per giunta, nel caso di un trattamento orale somministrato continuativamente, appare indispensabile, per una corretta definizione del reale impatto della tossicità in termini di interferenza con la vita quotidiana e con la qualità di vita, unire alla semplice descrizione del peggior grado riportato durante il trattamento, anche la descrizione dell'andamento della tossicità nel tempo, in termini di “area sotto la curva tempo – severità dell'evento avverso”. Gli autori sottolineano comunque che la maggior parte degli effetti collaterali era lieve o moderata nel grado, e che la tossicità ha comportato l'interruzione del trattamento in un numero limitato di pazienti.
In casi come questo, tra l'altro, si pone il problema della corretta interpretazione del risultato osservato, alla luce della scelta del braccio di controllo: a fronte della chemioterapia con platino adottata come trattamento standard di prima linea in questo studio, iniziato nel 2013, oggi le linee guida raccomandano il crizotinib come trattamento standard.
Ceritinib, peraltro, ha precedentemente dimostrato efficacia al fallimento dello stesso crizotinib: nei fatti, l'evidenza di superiorità del ceritinib nei confronti della chemioterapia di prima linea non implica la superiorità nei confronti di una strategia possibile di sequenza, in cui impiegare il crizotinib in prima battuta, seguito a progressione di malattia dal ceritinib.
Lo sviluppo parallelo di più farmaci di aziende diverse, diretti contro lo stesso target, comporta sempre più frequentemente “affollamenti” di opzioni terapeutiche di questo tipo, e spesso i quesiti relativi all'eventuale sequenza terapeutica, che sono di notevole interesse clinico, vengono sacrificati rispetto al semplice quesito finalizzato alla registrazione di un farmaco in una specifica linea di terapia.