Uno studio randomizzato di fase III condotto dal gruppo ETOP non ha evidenziato un vantaggio significativo con l’aggiunta dell’atezolizumab alla combinazione di chemioterapia e bevacizumab, ma le analisi di sottogruppo confermano una maggiore efficacia dell’immunoterapia nei casi ad istologia non epitelioide.
Felip, E. et al. A randomised phase III study of bevacizumab and carboplatin-pemetrexed chemotherapy with or without atezolizumab, as first-line treatment for advanced pleural mesothelioma: results of the ETOP 13 18 BEAT-meso trial. Annals of Oncology, 2025. https://www.annalsofoncology.org/article/S0923-7534(25)00003-1/abstract
Dopo anni nei quali non c’è stata alcuna innovazione nel trattamento del mesotelioma pleurico e il trattamento standard dei pazienti candidati a terapia sistemica era rappresentato dalla combinazione di platino e pemetrexed, negli anni recenti si sono registrate alcune importanti novità terapeutiche.
In particolare, gli immune checkpoint inhibitors hanno dimostrato efficacia come trattamento di prima linea in sostituzione della chemioterapia: la combinazione di nivolumab e ipilimumab ha dimostrato un prolungamento della sopravvivenza globale, con un’interazione significativa con l’istologia, per cui il trattamento immunoterapico è migliore della chemioterapia nei casi ad istologia non epitelioide (https://www.oncotwitting.it/patologia-polmonare/l-onda-dell-immunoterapia-avanza-nel-mesotelioma ).
Altri studi hanno anche valutato l’aggiunta (invece che la sostituzione) dell’immunoterapia alla chemioterapia, con risultati positivi anche se purtroppo non ottimali in termini di dimensione del beneficio (https://www.oncotwitting.it/immunoterapia/terapia-di-prima-linea-del-mesotelioma-dalla-collaborazione-internazionale-un-altra-prova-dell-efficacia-dell-immunoterapia ).
Qualche anno prima, era stata anche testata l’aggiunta del bevacizumab alla chemioterapia con platino, e anche questa strategia sperimentale è risultata formalmente positiva, proponendo la combinazione di chemioterapia e anticorpo anti-VEGF come un possibile nuovo standard di prima linea (https://www.oncotwitting.it/patologia-polmonare/bevacizumab-in-aggiunta-alla-chemioterapia-nel-mesotelioma-un-possibile-nuovo-standard).
In questo scenario, si inseriscono i risultati dello studio BEAT-meso, recentemente pubblicato da Annals of Oncology.
Lo studio BEAT-meso è uno studio randomizzato di fase III, internazionale, multicentrico, condotto in aperto. I pazienti eleggibili erano affetti da mesotelioma pleurico avanzato, candidati a terapia sistemica di prima linea.
Lo studio prevedeva la randomizzazione, in rapporto 1:1, con stratificazione per istotipo e per stadio.
Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale (overall survival, OS). L’obiettivo era quello di dimostrare un miglioramento della sopravvivenza globale con l’aggiunta dell’atezolizumab alla combinazione di chemioterapia e bevacizumab (Hazard Ratio ipotizzato 0.708).
Endpoint secondari erano la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS), la descrizione degli eventi avversi e la valutazione dei patient-reported outcomes sia per i sintomi che per la qualità di vita globale.
Tra l’aprile 2019 ed il marzo 2022, lo studio ha visto la randomizzazione di 400 pazienti, 200 assegnati al braccio di controllo e 200 assegnati al braccio sperimentale.
La maggior parte dei pazienti randomizzati (65%) aveva un performance status ECOG 1, e il 78% aveva un tumore ad istologia epitelioide (quindi l’istologia non epitelioide interessava circa un quinto dei casi).
Dopo un follow-up mediano di 35 mesi, la sopravvivenza non è risultata significativamente differente nei 2 gruppi: nel dettaglio, la sopravvivenza mediana è risultata pari a 20.5 mesi per i pazienti assegnati al braccio sperimentale con atezolizumab, e pari a 18.1 mesi per i pazienti assegnati al braccio di controllo senza immunoterapia (Hazard Ratio 0.84, intervallo di confidenza al 95% 0.66 - 1.06; p=0.14).
Il braccio sperimentale ha ottenuto una sopravvivenza libera da progressione significativamente migliore rispetto al braccio di controllo: nel dettaglio, la PFS mediana è risultata pari a 9.2 mesi, rispetto a 7.6 mesi (Hazard Ratio 0.72, intervallo di confidenza al 95% 0.59 - 0.89; p=0.0021).
L’analisi di sottogruppo che ha indagato l’interazione tra l’efficacia dell’aggiunta dell’atezolizumab e l’istologia (epitelioide vs non epitelioide) ha evidenziato un’interazione significativa sia in termini di PFS che di OS.
Nel dettaglio, la combinazione sperimentale con atezolizumab è risultata significativamente migliore nell’istologia non epitelioide in termini di sopravvivenza globale (Hazard Ratio 0.51, intervallo di confidenza 95% 0.32 - 0.80) rispetto alla istologia epitelioide (Hazard Ratio 1.01, intervallo di confidenza al 95% 0.77 - 1.32), con un test di interazione significativo (p=0.012).
Eventi avversi di grado maggiore o uguale a 3, correlati al trattamento, sono stati registrati nel 55% dei pazienti trattati con la combinazione sperimentale, rispetto al 47% dei pazienti trattati con lo standard.
L’analisi di qualità di vita non ha evidenziato differenze rilevanti tra i due bracci di trattamento.
Sulla base dei risultati sintetizzati sopra, gli autori concludono che il miglioramento significativo in termini di sopravvivenza libera da progressione, ottenuto con l’aggiunta dell’atezolizumab alla combinazione di chemioterapia e bevacizumab, non si è tradotto in un beneficio statisticamente significativo in termini di sopravvivenza globale. Di conseguenza, l’endpoint primario dello studio non è stato raggiunto, e lo studio è da considerarsi negativo.
Gli autori sottolineano anche che l’analisi di sottogruppo sulla base del sottotipo istologico era pre-specificata, e quindi enfatizzano il risultato significativo osservato, in questo caso non solo in termini di sopravvivenza libera da progressione ma anche di sopravvivenza globale, nei casi ad istologia non epitelioide.
Le analisi di sottogruppo, come abbiamo spesso ricordato anche sulle pagine di Oncotwitting (https://www.oncotwitting.it/miscellanea/le-analisi-di-sottogruppo-curiosita-legittima-ma-con-cautela), sono assolutamente legittime ma richiedono cautela nell’interpretazione.
In uno studio complessivamente negativo, è legittimo eseguire analisi di sottogruppo per cogliere eventuali segnali della maggiore efficacia del trattamento in una popolazione di pazienti. Naturalmente conta la plausibilità del risultato (e in questo caso la differente efficacia dell’immunoterapia a seconda del sottotipo istologico si inserisce in un contesto di precedenti evidenze), ma intrinsecamente alle analisi di sottogruppo c’è un maggior rischio di risultati falsi positivi.
In generale, un plauso va agli autori per aver contribuito alla ricerca in una patologia troppo spesso orfana e nel complesso avara di progressi terapeutici. Lo studio aveva un promotore accademico, e la collaborazione virtuosa con l’industria farmaceutica può rappresentare un valore aggiunto per la ricerca in setting come questo, quando gli studi siano disegnati correttamente anche in termini di endpoint e siano condotti efficientemente grazie a collaborazioni internazionali multicentriche.