Un’analisi retrospettiva statunitense rassicura sulla possibilità di impiegare immunoterapia nei pazienti con tumore del polmone affetti da una patologia autoimmune. La tossicità del trattamento non appare tale da raccomandare una controindicazione assoluta… ma occorre buon senso clinico.
Leonardi GC, Gainor JF, Altan M, Kravets S, Dahlberg SE, Gedmintas L, Azimi R, Rizvi H, Riess JW, Hellmann MD, Awad MM. Safety of Programmed Death-1 Pathway Inhibitors Among Patients With Non-Small-Cell Lung Cancer and Preexisting Autoimmune Disorders. J Clin Oncol. 2018 May 10:JCO2017770305. doi: 10.1200/JCO.2017.77.0305. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 29746230.
Negli ultimi anni, I farmaci immunoterapici di nuova generazione sono diventati trattamento standard in varie neoplasie, tra cui il tumore del polmone non a piccolo cellule, dove il pembrolizumab è l’opzione terapeutica di prima linea nei pazienti con malattia avanzata, in caso di espressione di PDL1 superiore al 50%, mentre pazienti che abbiano fallito una prima linea di trattamento con chemioterapia possono essere trattati con nivolumab, indipendentemente dall’espressione di PDL1, o pembrolizumab, nei casi con espressione di PDL1 pari ad almeno 1%. Anche atezolizumab sarà presto impiegabile come trattamento di seconda linea, come il nivolumab indipendentemente dall’espressione di PDL1.
I pazienti con patologie autoimmuni erano esclusi dagli studi registrativi che hanno documentato l’efficacia dei suddetti farmaci, e quindi le evidenze relative al rapporto rischio / beneficio dell’impiego dell’immunoterapia in questi pazienti sono molto deboli. Un paio di anni fa , un’analisi presentata all’ASCO 2016 e successivamente pubblicata su JAMA, ha evidenziato che una percentuale non trascurabile di pazienti con tumore del polmone presenta una patologia autoimmune (Khan SA, Pruitt SL, Xuan L, Gerber DE. Prevalence of Autoimmune Disease Among Patients With Lung Cancer: Implications for Immunotherapy Treatment Options. JAMA Oncol. 2016 Nov 1;2(11):1507-1508. doi: 10.1001/jamaoncol.2016.2238.) Quindi, nella pratica clinica non è raro dover decidere se candidare o meno a immunoterapia un paziente affetto da una nota patologia autoimmune.
Leonardi e coautori, nell’analisi recentemente pubblicata su Journal of Clinical Oncology, hanno raccolto retrospettivamente i dati clinico-patologici di pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule, con una storia di patologia autoimmune, che sono stati trattati con un farmaco antiPD1 e antiPDL1.
Sono stati inclusi nell’analisi pazienti affetti da varie patologie autoimmuni, tra cui malattie reumatologiche, neurologiche, endocrine, gastrointestinali e dermatologiche.
Scopo dell’analisi era quello di descrivere l’outcome di pazienti che, in quanto portatori di patologia autoimmune, potevano essere considerati a rischio di tossicità inaccettabile con l’impiego dell’immunoterapia, sia in termini di esacerbazione della patologia nota sia in termini di aumento di effetti collaterali a causa della “diatesi” autoimmune.
Gli autori hanno identificato 56 pazienti con tumore del polmone e una patologia autoimmune, trattati con un farmaco antiPD1 o antiPDL1 in monoterapia.
Al momento dell’inizio del trattamento immunoterapico, il 18% dei suddetti pazienti aveva sintomi attivi della malattia autoimmune, e il 20% era in trattamento con farmaci immunomodulatori per la patologia autoimmune.
Iniziato il trattamento immunoterapico, il 55% dei pazienti considerati nell’analisi ha sviluppato un “flare” (esacebazione) della nota patologia autoimmune e/o un evento avverso di tipo autoimmune.
In particolare, 13 pazienti (pari al 23% della casistica considerata) ha manifestato un’esacerbazione della patologia autoimmune già nota, e 4 pazienti hanno richiesto trattamento con corticosteroidi.
Un evento avverso di tipo autoimmune si è invece manifestato in 21 pazienti, pari al 38% della casistica. Tra gli eventi avversi di tipo autoimmune, il 74% era di grado lieve – moderato (grado 1 – 2), mentre il 26% era di grado severo (grado 3-4).
Otto pazienti hanno richiesto la somministrazione di corticosteroidi per la gestione degli eventi avversi di tipo autoimmune, e in otto pazienti è stata necessaria la sospensione definitiva del trattamento immunoterapico.
Sulla base dei suddetti risultati, gli autori concludono con un messaggio complessivamente rassicurante, sottolineando che la presenza di una patologia autoimmune (non solo in anamnesi, ma anche attiva al momento della necessità di iniziare un trattamento immunoterapico) non rappresenta una controindicazione assoluta all’immunoterapia, in quanto l’esacerbazione della patologia autoimmune e gli eventi avversi sono limitati a una proporzione contenuta dei casi, raramente severi e spesso compatibili con una prosecuzione del trattamento.
Non c’è dubbio che i risultati ottenuti con l’immunoterapia in termini di controllo di malattia e di sopravvivenza globale impongano un’accurata valutazione prima di escludere un paziente dal trattamento. Peraltro, in medicina la prima regola dovrebbe essere sempre quella di non nuocere, e quindi è richiesta particolare attenzione quando i rischi associati a un trattamento possono essere superiori rispetto ai suoi potenziali benefici.
Qualche mese fa, una revisione sistematica pubblicata su Annals of Internal Medicine ha sottolineato che la tollerabilità del trattamento immunoterapico in pazienti con patologia autoimmune è complessivamente buona, ma che gli eventi avversi possono essere clinicamente importanti, e sono stati segnalati eventi avversi anche letali (Abdel-Wahab N, Shah M, Lopez-Olivo MA, Suarez-Almazor ME. Use of Immune Checkpoint Inhibitors in the Treatment of Patients With Cancer and Preexisting Autoimmune Disease: A Systematic Review. Ann Intern Med. 2018 Jan 16;168(2):121-130. doi: 10.7326/M17-2073.). Gli autori di questa revisione sistematica sottolineavano l’importanza di condurre studi prospettici per meglio definire il rapporto rischio / beneficio dell’immunoterapia in questa popolazione di pazienti.
A nostro avviso, è proprio questo il punto debole maggiore dello studio di Leonardi pubblicato su JCO: l’analisi è retrospettiva, e prende in considerazione solo i casi effettivamente trattati, quindi quelli in cui i curanti avevano giudicato fattibile il trattamento immunoterapico. Sicuramente, quindi, una popolazione con malattia autoimmune meno grave nella severità (e nel rischio di problemi successivi) rispetto a quelli esclusi dall’analisi, e quindi risulta quanto mai azzardato generalizzare il risultato rassicurante a tutti i pazienti con malattia autoimmune.
L’analisi di JAMA Oncology nel 2016 indicava un’incidenza di patologie autoimmuni nel 13% circa dei pazienti con tumore del polmone, e quindi i 56 pazienti inseriti nell’analisi di JCO sono sicuramente un numero troppo esiguo per rendere affidabile l’analisi.
Peraltro, il problema dell’applicabilità dei risultati dalla popolazione selezionata degli studi clinici alla popolazione eterogenea (per età e patologie concomitanti) del mondo reale è un problema rilevante, e l’articolo di JCO ha il merito di portare l’attenzione su questa tematica.