Sono stati pubblicati i risultati, positivi per lorlatinib, dello studio randomizzato di confronto con crizotinib, che ormai è lo “sparring partner” degli studi con i farmaci anti-ALK di nuova generazione. La lista dei farmaci efficaci in questo setting si allunga…
Shaw AT, Bauer TM, de Marinis F, Felip E, Goto Y, Liu G, Mazieres J, Kim DW, Mok T, Polli A, Thurm H, Calella AM, Peltz G, Solomon BJ; CROWN Trial Investigators. First-Line Lorlatinib or Crizotinib in Advanced ALK-Positive Lung Cancer. N Engl J Med. 2020 Nov 19;383(21):2018-2029. doi: 10.1056/NEJMoa2027187. PMID: 33207094.
Negli ultimi anni, il numero di nuovi farmaci ALK inibitori, attivi nel trattamento dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) avanzato ALK+, è decisamente aumentato. Questi tumori, per i quali qualche anno fa la disponibilità del crizotinib aveva rappresentato la possibilità di un approccio a bersaglio molecolare, superiore rispetto al trattamento chemioterapico, oggi possono beneficiarsi del trattamento con una lista crescente di farmaci di provata attività ed efficacia.
Tra questi, il lorlatinib, inibitore di terza generazione di ALK, ha già dimostrato una buona attività antitumorale in casi pretrattati con altri inibitori, ed è oggi usato (grazie alla disponibilità di un programma di uso nominale) come terapia di seconda linea, o successiva, in pazienti che abbiano già fallito il trattamento con altri inibitori.
Altri farmaci (come l’alectinib o il brigatinib) hanno già documentato, nell’ambito di studi randomizzati, la superiorità, in termini di sopravvivenza libera da progressione, rispetto al crizotinib.
Lo studio CROWN, trial multicentrico internazionale, ha confrontato il lorlatinib (alla dose di 100 mg al giorno) con il crizotinib (alla dose standard di 250 mg due volte al giorno) in 296 pazienti con NSCLC avanzato, caratterizzati da positività di ALK, che erano candidati a trattamento di prima linea non avendo ricevuto altre linee precedenti.
Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS) sulla base della revisione centralizzata indipendente, e lo studio era dimensionato per garantire il 90% di potenza nell’evidenziare un incremento nella PFS mediana da 11 mesi con il crizotinib a 18 mesi con il lorlatinib (Hazard Ratio 0.611).
Il piano statistico prevedeva la conduzione di una analisi ad interim, al raggiungimento del 75% degli eventi complessivi (133 su 177 progressioni e/o decessi in assenza di progressione).
Endpoint secondari erano la PFS basata sulla valutazione degli sperimentatori, la risposta obiettiva, la risposta intracranica, la sopravvivenza globale, la qualità di vita, la sicurezza e la tollerabilità del trattamento.
Lo studio ha visto la randomizzazione di 296 pazienti (149 assegnati al braccio sperimentale con lorlatinib, 147 assegnati al braccio di controllo con crizotinib).
L’analisi ad interim di PFS ha evidenziato una mediana non ancora raggiunta con il lorlatinib, rispetto a una mediana di poco superiore a 9 mesi con il crizotinib (hazard ratio 0.28, intervallo di confidenza al 95% 0.19 – 0.41, p<0.001). A 12 mesi dalla randomizzazione, la probabilità di essere vivi senza progressione di malattia era pari al 78% (intervallo di confidenza al 95%, 70-84) con il lorlatinib, praticamente doppia rispetto al crizotinib (39%, intervallo di confidenza al 95% 30-48).
La proporzione di risposte obiettive è risultata pari al 76% (intervallo di confidenza al 95% 68 - 83) con il lorlatinib, rispetto al 58% (intervallo di confidenza al 95%, 49 - 66) con il crizotinib.
In entrambi i bracci, oltre il 90% dei pazienti ha ottenuto un controllo di malattia (risposta o malattia stabile), ma circa il 5-7% dei pazienti, con entrambi i farmaci, si sono dimostrati refrattari al trattamento di prima linea, ottenendo una progressione di malattia come miglior risposta.
Tra i pazienti con malattia intracranica (che erano eleggibili a patto che la malattia fosse clinicamente stabile), la risposta intracranica è risultata pari all’82% con il lorlatinib rispetto al 23% con il crizotinib. Il 71% dei pazienti del gruppo trattato con lorlatinib ha ottenuto una risposta intracranica completa.
I dati di sopravvivenza globale erano ancora largamente immaturi al momento dell’analisi, in quanto si erano registrati solo 51 eventi (23 nel braccio di lorlatinib e 28 nel braccio di crizotinib), non evidenziando differenze statisticamente significative tra i 2 gruppi.
Il profilo di tollerabilità dei 2 farmaci è risultato decisamente diverso. Gli eventi avversi più comuni con il lorlatinib sono stati le alterazioni del metabolismo lipidico (ipercolesterolemia e/o ipertrigliceridemia, severe nel 15-20% dei casi), l’aumento di peso, la neuropatia periferica e i disturbi cognitivi o dell’umore. Il crizotinib ha invece confermato il frequente riscontro di nausea, vomito, diarrea, disgeusia, diarrea, alterazioni delle transaminasi.
Nel complesso, il lorlatinib è risultato associato ad una maggiore frequenza di eventi avversi di grado 3-4 di qualunque tipo (72% vs. 56%), incluse le alterazioni del metabolismo lipidico. Il 7% dei pazienti assegnati a lorlatinib, e il 9% dei pazienti assegnati a crizotinib ha interrotto il trattamento a causa di eventi avversi.
Sulla base dei suddetti risultati, gli autori concludono che l’analisi ad interim dello studio CROWN ha consentito di evidenziare la superiorità del lorlatinib rispetto al crizotinib sia in termini dell’endpoint primario (la sopravvivenza libera da progressione), che in termini di risposte obiettive e di controllo intracranico.
Lo scenario dei farmaci candidati al trattamento di prima linea dei pazienti ALK+ si arricchisce quindi di un altro protagonista, che negli ultimi anni aveva già documentato una buona attività in pazienti largamente pretrattati, consentendo una chance di “sequenza terapeutica” fatta di più farmaci target.
Tutti i farmaci di nuova generazione (come alectinib e brigatinib) hanno documentato superiore efficacia come trattamento di prima linea rispetto al crizotinib, che era il braccio di controllo in tutti gli studi randomizzati, ma che oggi, di fatto, non rappresenta più il miglior standard di prima linea. Dal momento che questi farmaci, incluso il lorlatinib, sono stati sperimentati in parallelo o quasi, era ampiamente prevedibile che ottenessero, a breve distanza di tempo l’uno dall’altro, dimostrazione di superiorità rispetto al precedente standard, ma senza confronti diretti tra loro. L’accrual nello studio CROWN era iniziato nel maggio 2017, e pochi mesi dopo, a fine agosto 2017, ben prima della conclusione dell’accrual (2019), il NEJM aveva pubblicato i risultati dello studio ALEX, che sancivano la netta superiorità di alectinib rispetto al crizotinib. E’ sicuramente vero che la pubblicazione di uno studio non corrisponde all’effettiva disponibilità del farmaco nella pratica clinica, ma è un dato di fatto che larga parte dei pazienti dello studio CROWN, assegnati al braccio di controllo, hanno ricevuto un trattamento che era noto non essere il miglior farmaco disponibile.
L’assenza di confronti diretti tra i vari pretendenti alla prima linea rende difficile la scelta. Le “network meta-analysis” provano a ricavare un confronto di efficacia sfruttando il fatto che tutti gli studi erano disegnati con il medesimo braccio di controllo (il crizotinib), ma l’informazione che si ricava da tali network meta-analysis è necessariamente poco precisa. Naturalmente, il confronto indiretto non deve limitarsi all’hazard ratio dell’endpoint primario, ma deve includere la valutazione della diversa tossicità associata a ciascun trattamento.
La notizia sicuramente positiva è che la lista dei farmaci attivi, in questi anni, si è allungata e ha consentito di ottenere sopravvivenze globali impensabili fino a qualche anno fa, non solo grazie all’attività del singolo farmaco scelto come trattamento di prima linea, ma anche grazie all’impiego in sequenza di più farmaci non del tutto cross-resistenti.