Patologia polmonare
Sabato, 19 Agosto 2017

Tumore del polmone metastatico all’esordio: quale spazio per i trattamenti locali?

A cura di Massimo Di Maio

Uno studio retrospettivo olandese fa riflettere sul possibile ruolo del trattamento ad intento radicale nei pazienti con tumore del polmone, con malattia “oligometastatica” alla diagnosi: lo studio ha ovvi limiti, ma l’argomento è clinicamente importante.

Kwint Margriet, Walraven Iris, Burgers Sjaak, Hartemink Koen, Klomp Houke, Knegjens Joost, Verheij Marcel, Belderbos Jose. Outcome of radical local treatment of non-small cell lung cancer patients with synchronous oligometastases.Lung Cancer http://dx.doi.org/10.1016/j.lungcan.2017.08.006

 

In accordo alle linee guida nazionali ed internazionali, la presenza di metastasi a distanza in fase di stadiazione, classificando i pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) come stadio IV, li esclude da un trattamento ad intento radicale, candidandoli per un trattamento sistemico.

Pur con i miglioramenti ottenuti negli ultimi anni con i farmaci a bersaglio molecolare (per il sottogruppo di pazienti eleggibili) e con l’immunoterapia, l’intento del trattamento farmacologico nei pazienti con malattia metastatica rimane il controllo della malattia e dei sintomi ad essa associati.

Quando i pazienti, alla diagnosi, presentano malattia metastatica in più di una sede, non ci sono molti dubbi sulla gestione clinica, con la suddetta esclusione dai trattamenti radicali e con la valutazione per un trattamento sistemico esclusivo. Ma come comportarsi in quei casi in cui la malattia è “oligometastatica” alla diagnosi, vale a dire che le metastasi ci sono, ma quantitativamente limitate a una o a poche sedi?

Uno studio osservazionale olandese ha raccolto i dati di pazienti con diagnosi di NSCLC e malattia oligometastatica alla diagnosi, registrati in un apposito database al momento della discussione multidisciplinare, tra il 2008 ed il 2016.

I pazienti sono stati sottoposti a trattamento sistemico, ma non esclusivo, in quanto hanno anche ricevuto trattamento della malattia intratoracica (radioterapia ad intento radicale o resezione chirurgica). Le metastasi sincrone sono state trattate con radioterapia (eventualmente stereotassica), resezione chirurgica o termoablazione mediante radiofrequenza.

Lo studio ha descritto:

  • la sopravvivenza globale (overall survival, OS);
  • la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS).

Complessivamente, sono stati inseriti nello studio 91 pazienti (dei quali il 52% erano di sesso maschile, con età mediana pari a 60 anni). Tutti i pazienti erano in buon performance status.

Nei primi anni in cui sono stati trattati i pazienti inseriti nell’analisi, le analisi molecolari non erano parte della routine clinica, e quindi l’informazione sulla presenza di mutazione di EGFR era disponibile solo nel 57% dei casi, risultando positiva nel 21% dei pazienti.

77 pazienti (85%) avevano una singola metastasi, 9 (10%) avevano 2 metastasi, 3 (3%) avevano 3 metastasi e 3 (3%) ne avevano 4. La sede più frequente delle metastasi era l’encefalo (42%), seguito dall’osso (30%) e dal surrene (18%).

Il trattamento del tumore primitivo è consistito in radioterapia (con o senza chemioterapia) in 81 casi (pari all’89%) e nel’intervento chirurgico in 8 casi (9%). L’82% dei pazienti ha ricevuto un trattamento sistemico: nove pazienti hanno ricevuto chemio-radioterapia concomitante, e 60 pazienti hanno ricevuto chemio-radioterapia sequenziale. Sei pazienti (7%) hanno ricevuto un farmaco a bersaglio molecolare.

L’analisi è stata eseguita dopo un follow-up mediano pari a 35 mesi, quando erano deceduti 38 pazienti (pari al 42%). La causa della morte è stata il tumore del polmone in tutti i casi meno uno. 63 pazienti (pari al 69%) hanno sviluppato progressione di malattia, e il 17% delle progressioni è stata registrata nella sede precedentemente irradiata.

La PFS mediana nell’intera casistica è risultata pari a 14 mesi (intervallo di confidenza al 95% 12-16): la probabilità di essere liberi da progressione a 1 anno è risultata pari al 55%, e la probabilità di essere liberi da progressione a 2 anni è risultata pari al 27%.

La sopravvivenza globale mediana è risultata pari a 32 mesi (intervallo di confidenza al 95% 25-39: la probabilità di essere vivi a 1 anno è risultata pari all’85%, e la probabilità di essere vivi a 2 anni è risultata pari al 58%.

Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori concludono che il trattamento locale ad intento radicale, in un sottogruppo selezionato di pazienti con NSCLC metastatico alla diagnosi, può risultare in un buon controllo di malattia, con PFS e OS interessanti.

Naturalmente, lo studio ha tutti i limiti degli studi osservazionali, con un chiaro bias di selezione, che rende impossibile quantificare il reale beneficio associato ai trattamenti locali.

Gli autori enfatizzano che la sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da progressione registrate nella casistica sono molto favorevoli, se confrontate con i risultati mediamente ottenuti nel NSCLC metastatico. L’ovvio problema è che la prognosi di una casistica selezionata per malattia oligometastatica (singola metastasi in una gran percentuale dei casi) è di per sé migliore rispetto alle casistiche “non selezionate”.

Prudentemente, gli autori concludono che i trattamenti locali dovrebbero essere oggetto di studi prospettici, al fine di quantificarne meglio l’efficacia rispetto all’attuale trattamento standard. Quando l'evidenza a sostegno sarà più solida, anche i casi con malattia metastatica dovranno essere attentamente discussi in un gruppo multidisciplinare per la condivisione della miglior strategia terapeutica integrata.