Gli inibitori di EGFR hanno dato risultati di grande rilevanza quando usati nei casi di tumore del polmone avanzato con mutazione di EGFR… Uno studio randomizzato lascia però più di un dubbio sull’efficacia di gefitinib come trattamento adiuvante nei pazienti operati.
Zhong WZ, Wang Q, Mao WM, Xu ST, Wu L, Shen Y, Liu YY, Chen C, Cheng Y, Xu L, Wang J, Fei K, Li XF, Li J, Huang C, Liu ZD, Xu S, Chen KN, Xu SD, Liu LX, Yu P, Wang BH, Ma HT, Yan HH, Yang XN, Zhou Q, Wu YL; ADJUVANT investigators. Gefitinib versus vinorelbine plus cisplatin as adjuvant treatment for stage II-IIIA (N1-N2) EGFR-mutant NSCLC (ADJUVANT/CTONG1104): a randomised, open-label, phase 3 study. Lancet Oncol. 2017 Nov 21. pii: S1470-2045(17)30729-5. doi: 10.1016/S1470-2045(17)30729-5. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 29174310.
Ad oggi, in accordo alle linee guida nazionali ed internazionali, i pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (non-small cell lung cancer, NSCLC) sottoposti ad intervento chirurgico, in stadio II – IIIA, sono candidati ad un trattamento adiuvante allo scopo di ridurre il rischio di recidiva e di prolungare la sopravvivenza. Il trattamento adiuvante di provata efficacia è rappresentato dalla chemioterapia, e lo schema di combinazione cisplatino-vinorelbina è quello che ha prodotto l’evidenza di livello più solido. Ad oggi, quindi, la caratterizzazione molecolare, fondamentale per selezionare il miglior trattamento per i pazienti con malattia avanzata, non ha un ruolo nella scelta del trattamento adiuvante: anche i pazienti con mutazione di EGFR sono quindi candidati a ricevere chemioterapia.
E’ ben noto che gli inibitori di tirosino-chinasi di EGFR (erlotinib, gefitinib, afatinib, più recentemente dacomitinib e osimertinib) sono associati a efficacia nettamente superiore alla chemioterapia quando impiegati nei pazienti con mutazione di EGFR nel setting metastatico. E’ ragionevole ipotizzare, quindi, che tale strategia di inibizione del target molecolare possa essere associata a beneficio anche nel setting adiuvante.
Lo studio ADJUVANT / CTONG1104, condotto in Cina, era uno studio randomizzato di fase III, che prevedeva l’inclusione di pazienti di età compresa tra 18 e 75 anni, sottoposti a resezione completa (R0) per NSCLC in stadio II – IIIA (N1 oppure N2), con mutazione attivante di EGFR (delezione dell’esone 19 oppure L858R dell’esone 21).
La randomizzazione era in rapporto 1:1, ed era stratificata per stadio linfonodale, e per tipo di mutazione di EGFR.
Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da recidiva (disease-free survival, DFS). Lo studio era disegnato per dimostrare una riduzione del rischio di DFS pari al 40% (hazard ratio 0.60) con il gefitinib rispetto all’outcome atteso con la chemioterapia.
L’analisi principale dello studio era prevista nella popolazione intention-to-treat (tutti i pazienti randomizzati); l’analisi secondaria prevedeva invece la valutazione della popolazione intention-to-treat modificata (pazienti che avessero ricevuto almeno 1 dose dei farmaci assegnati, e senza violazioni maggiori dal protocollo).
Endpoints secondari erano la sopravvivenza globale, la tollerabilità e la qualità di vita, misurata attraverso il questionario FACT-L (Functional Assessment of Cancer Therapy – Lung Cancer), mediante il TOI (Trial Outcome Index) e LCSS (Lung Cancer Symptom Scale).
Lo studio ha visto la randomizzazione di 222 pazienti, su un totale di 483 casi sottoposti a screening tra il settembre 2011 e l’aprile 2014. Nel dettaglio, 111 pazienti sono stati randomizzati al braccio sperimentale (gefitinib) e 111 pazienti sono stati assegnati al braccio di controllo (chemioterapia con cisplatino e vinorelbina).
Le analisi presentate sono state condotte dopo un follow-up mediano pari a 36.5 mesi.
Nell’analisi intention-to-treat, la sopravvivenza libera da malattia è risultata significativamente migliore per i pazienti assegnati al trattamento con gefitinib, rispetto alla chemioterapia: la DFS mediana è infatti risultata pari a 28.7 mesi (intervallo di confidenza al 95% 24.9 – 32.5) con gefitinib, rispetto a 18.0 mesi (intervallo di confidenza al 95% 13.6 – 22.3) con la chemioterapia (hazard ratio 0.60, intervallo di confidenza al 95% 0.42 – 0.87, p=0.0054). L’analisi condotta nella popolazione intention-to-treat modificata ha prodotto risultati simili.
La probabilità di sopravvivenza libera da recidiva a 3 anni è risultata pari al 34% con gefitinib e al 27% con la chemioterapia nell’analisi intention-to-treat, e pari al 31% con gefitinib e al 28% con la chemioterapia nell’analisi intention-to-treat modificata. Entrambe queste differenze non sono statisticamente significative.
Per quanto riguarda la tollerabilità del trattamento, l’evento avverso di grado 3 o peggiore più comunemente riportato con il gefitinib è stato il rialzo delle transaminasi (2%), nel complesso il trattamento sperimentale è risultato meglio tollerato rispetto alla chemioterapia con cisplatino e vinorelbina.
L’analisi della qualità di vita ha documentato un beneficio a favore di gefitinib rispetto alla chemioterapia, in particolare per il miglioramento del punteggio TOI a 33 settimane rispetto al basale.
Al momento dell'analisi presentata nella pubblicazione, l'analisi di sopravvivenza globale non era ancora matura, e non è presentata nel lavoro.
Sulla base dei risultati, gli autori dello studio concludono che, in considerazione della superiorità in sopravvivenza libera da recidiva, del buon profilo di tollerabilità e del risultato migliore in termini di qualità di vita, il gefitinib potrebbe essere un’opzione di trattamento adiuvante in alternativa alla chemioterapia.
D’altra parte, sono gli stessi autori a sottolineare che l’andamento delle curve di Kaplan-Meier della DFS suggerisce che, dopo l’iniziale netto beneficio per gefitinib, le curve tendono ad avvicinarsi nel tempo, evidenziando che il beneficio associato all’impiego del farmaco biologico sia “di durata limitata”, traducendosi in un ritardo della comparsa della recidiva più che in un aumento dei casi “guariti”.
Peraltro, nella pubblicazione non sono ancora presentati, non essendo maturi al momento dell’analisi presentata, i dati di sopravvivenza globale, che possono dare un’informazione importante sul reale beneficio dell’impiego della strategia biologica in fase adiuvante rispetto all’uso attuale al momento della successiva diagnosi di recidiva.
Nell’editoriale che accompagna la pubblicazione dello studio, Ng e Camidge sottolinea che questo studio non è il primo a produrre risultati “interlocutori” quando un farmaco target viene testato come trattamento adiuvante negli stadi più precoci del medesimo tumore solido. L’andamento delle curve suggerisce che la terapia sia in grado di “congelare” piuttosto che di “eradicare” le cellule eventualmente presenti dopo l’intervento chirurgico, e che quindi le recidive vengono differite nel tempo, ma non eliminate.
Gli autori si spingono anche a ipotizzare che, mentre i tumori sensibili all’effetto citotossico della chemioterapia potrebbero poi in teoria beneficiarsi dell’attacco eradicante da parte del sistema immunitario, un tumore “poco immunogenico” come quelli caratterizzati dalla presenza di oncogene addiction potrebbe non avvantaggiarsi dell’azione del sistema immunitario.
Ad oggi, lo standard adiuvante per i pazienti operati in stadio II – IIIA, indipendentemente dalla presenza di mutazione di EGFR, rimane la chemioterapia con cisplatino.