Presentati all’ASCO 2023, e pubblicati dal New England Journal of Medicine, i risultati dello studio KEYNOTE-671, che ha valutato l’aggiunta del pembolizumab perioperatorio alla chemioterapia neoadiuvante per i pazienti con NSCLC resecabile. I risultati allungano la lista dei dati a sostegno dell’impiego dell’immunoterapia negli stadi precoci, anche se i dati di sopravvivenza globale non sono ancora maturi.
Heather Wakelee, M.D., Moishe Liberman, M.D., Ph.D., Terufumi Kato, M.D., Masahiro Tsuboi, M.D., Ph.D., Se-Hoon Lee, M.D., Ph.D., Shugeng Gao, M.D., Ke-Neng Chen, M.D., Ph.D., Christophe Dooms, M.D., Ph.D., Margarita Majem, M.D., Ph.D., Ekkehard Eigendorff, M.D., Gastón L. Martinengo, M.D., Olivier Bylicki, M.D., et al., for the KEYNOTE-671 Investigators. Perioperative Pembrolizumab for Early-Stage Non–Small-Cell Lung Cancer. New Engl J Med, June 3 2023
Da vari anni, per i pazienti affetti da tumore del polmone non a piccole cellule (non-small cell lung cancer, NSCLC) in stadio localizzato alla diagnosi, il trattamento neoadiuvante con l’impiego di chemioterapia a base di platino ha dimostrato efficacia, risultando associato a un beneficio in termini di sopravvivenza globale sostanzialmente simile in termini assoluti al vantaggio dimostrato dalla chemioterapia post-operatoria (pari a circa il 5% di incremento assoluto della sopravvivenza globale a 5 anni). Peraltro, è un dato di fatto che nella pratica clinica la strategia della somministrazione del trattamento sistemico prima dell’intervento non ha mai conquistato un ruolo preminente.
Negli ultimi anni, numerosi studi hanno testato l’efficacia dell’immunoterapia nel medesimo setting, sulla scia dei risultati ottenuti nella malattia avanzata.
Qualche mese fa, abbiamo commentato su Oncotwitting i risultati di una revisione sistematica e metanalisi pubblicata sulle pagine di Cancer, condotta con l’obiettivo di descrivere la sicurezza e l’efficacia dell’impiego dell’immunoterapia neoadiuvante, confrontando l’efficacia della combinazione di chemio-immunoterapia rispetto alla chemioterapia da sola, e di esplorare i fattori predittivi della risposta patologica completa (https://www.oncotwitting.it/patologia-polmonare/l-immunoterapia-negli-stadi-precoci-del-tumore-del-polmone-quale-ruolo-per-la-terapia-neoadiuvante ). I risultati della metanalisi depongono in favore della sicurezza e dell’efficacia della immunoterapia neoadiuvante nel NSCLC resecabile, con un beneficio non solo in termini di risposte patologiche complete ma anche in termini di sopravvivenza libera da progressione e sopravvivenza globale.
In questo scenario, che si è andato popolando recentemente con i risultati ottenuti dai vari immune checkpoint inhibitors, si inseriscono ora i risultati dello studio KEYNOTE-671, presentati al meeting ASCO 2023 e pubblicati simultaneamente sulle pagine del New England Journal of Medicine.
Lo studio KEYNOTE-671 è uno studio randomizzato di fase III, in doppio cieco, disegnato per valutare l’impiego peri-operatorio del pembrolizumab (anticorpo monoclonale anti-PD1) in pazienti con NSCLC in stadio iniziale considerato resecabile (stadio II, IIIA o IIIB con interessamento linfonodale mediastinico N2).
I pazienti eleggibili sono stati randomizzati, in rapporto 1:1, a ricevere preoperatoriamente pembrolizumab (alla dose standard fissa di 200 mg) oppure placebo, ogni 3 settimane, insieme con 4 cicli di chemioterapia a base di cisplatino.
In entrambi i bracci, dopo i suddetti 4 cicli di trattamento preoperatorio, il protocollo prevedeva l’intervento chirurgico e poi il trattamento post-operatorio con pembrolizumab o placebo, ogni 3 settimane, per un massimo di 13 cicli (quindi completando circa 1 anno di trattamento complessivo).
Lo studio aveva 2 endpoint primari, come spesso accade negli studi di immunoterapia e in generale come accade sempre più frequentemente negli ultimi anni (https://www.oncotwitting.it/miscellanea/quanti-obiettivi-principali-ha-uno-studio-clinico-di-regola-uno-ma-spesso-non-e-cosi). I due endpoint erano la sopravvivenza libera da evento (event-free survival, EFS) e la sopravvivenza globale (overall survival, OS). Gli eventi considerati nell’EFS erano la progressione locale che eventualmente precludesse l’esecuzione dell’intervento chirurgico, il riscontro di un tumore non resecabile, la progressione o recidiva di malattia, la morte.
Tra gli endpoint secondari dello studio c’erano la risposta patologica maggiore, la risposta patologica completa, e la tossicità della terapia.
Lo studio ha visto la randomizzazione di 797 pazienti, 397 dei quali assegnati al braccio sperimentale con pembrolizumab e 400 assegnati al braccio di controllo con placebo.
Alla prima analisi ad interim, condotta come era predefinito nel protocollo, il follow-up mediano era pari a 25.2 mesi. Il trattamento con pembrolizumab è risultato associato a una EFS significativamente migliore rispetto al braccio trattato con placebo: nel dettaglio, a 24 mesi la probabilità di essere liberi da evento è risultata pari al 62.4% nel braccio sperimentale e al 40.6% nel braccio di controllo (hazard ratio 0.58; intervallo di confidenza al 95% 0.46 - 0.72; p<0.001).
L’analisi di OS non evidenzia, al momento, differenze statisticamente significative tra i bracci in studio: la probabilità di essere vivi a 24 mesi era pari all’80.9% nel braccio trattato con pembrolizumab e pari a 77.6% nel braccio trattato con placebo (p=0.02, non sufficiente per soddisfare la soglia predefinita di significatività).
L’impiego di pembrolizumab è risultato associato a un significativo miglioramento della chance di ottenere una risposta patologica maggiore (30.2% vs 11.0%, p<0.0001), e un significativo miglioramento della chance di ottenere una risposta patologica completa (18.1% vs 4.0%, p<0.0001).
Considerando l’intera durata del trattamento (sia preoperatorio che postoperatorio) l’incidenza di eventi avversi severi (grado 3 o peggiore) è risultata pari al 44.9% nel braccio sperimentale e pari al 37.3% nel braccio di controllo. L’incidenza di eventi mortali è risultata simile nei 2 bracci (1.0% e 0.8% rispettivamente).
Sulla base dei risultati sopra descritti, gli autori concludono che l’impiego perioperatorio di pembrolizumab in aggiunta alla chemioterapia neoadiuvante, nei pazienti con NSCLC in stadio iniziale resecabile, ha prodotto (a questa prima analisi) un significativo miglioramento della sopravvivenza libera da progressione / recidiva, nonché un miglioramento delle risposte patologiche complete e maggiori.
Naturalmente, gli autori riconoscono che, con il limite del follow-up ancora poco maturo al quale è stata condotta questa prima analisi, non è stato dimostrato un significativo beneficio in sopravvivenza globale.
I risultati dello studio KEYNOTE-671 andranno a confermare l’interesse della comunità scientifica per l’impiego neoadiuvante dell’immunoterapia. Come accaduto in altri tumori solidi, nonché nelle fasi più avanzate di malattia nel NSCLC, si stanno “accumulando” i dati ottenuti con diversi farmaci immunoterapici. Lo studio KEYNOTE-671, a differenza dello studio Checkmate-816 condotto con il nivolumab (che prevedeva l’impiego dell’immunoterapico nella sola fase preoperatoria), prevedeva l’impiego perioperatorio del farmaco immunoterapico, fino a completare 1 anno di trattamento. Questa strategia è stata adottata anche in altri studi (ad esempio lo studio AEGEAN con il durvalumab. Il disegno di questi studi non chiarisce il vero valore aggiunto della somministrazione adiuvante, in quanto manca un terzo braccio che ricevesse il farmaco immunoterapico solo prima dell’intervento e non dopo.
Dal punto di vista degli endpoint, la decisione di scegliere non la sola OS come endpoint primario ma anche la event-free survival, fa sì che i risultati presentati, corrispondenti alla prima analisi ad interim di EFS, non sanciscano in maniera definitiva la superiorità del trattamento sperimentale in OS.
La necessità di interpretare, sia a fini regolatori che a fini scientifici per la produzione di linee guida e raccomandazioni, i risultati degli studi condotti negli stadi precoci sulla base di endpoint surrogati è ormai pratica sempre più frequente. Ridurre in maniera significativa il rischio di recidiva è sicuramente un obiettivo clinicamente rilevante, e questo si può affermare anche in attesa di vedere le analisi mature di sopravvivenza globale.
Anche lo studio KEYNOTE-671 ha confermato l’incremento significativo della chance di risposte patologiche complete, come gli altri studi condotti con farmaci immunoterapici in questo setting. La risposta patologica completa ha un chiaro valore prognostico, e in questo studio con il pembrolizumab, al pari dei precedenti, l’incremento appare importante sia in termini relativi che assoluti.