Essere caregiver di un paziente oncologico può essere molto impegnativo. Una revisione sistematica della letteratura descrive la prevalenza di depressione nei caregiver, ribadendo la necessità di non sottostimare il problema e di offrire assistenza psicologica.
Un’analisi quali-quantitativa italiana mira a identificare il numero e la tipologia di attività specialistiche richieste nei 2 anni successivi alla presa in carico di ogni singolo paziente. Riflessione (retrospettiva) per misurare i carichi di lavoro, le risorse necessarie a rispondere al bisogno sanitario della comunità oncologica, ma anche stimolo per una efficiente riorganizzazione ...
Il trattamento neoadiuvante per i carcinomi triplo negativi o HER2-positivi porta a un tasso di risposte patologiche complete di circa il 60% e, in questi casi, la prognosi è usualmente molto buona. Uno studio ha valutato un approccio senza chirurgia in cui pazienti con risposta patologica completa, determinata mediante vacuum-assisted core biopsy (VACB), sono state trattate con la sola ...
L’associazione di durvalumab e tremelimumab alla chemioterapia si somma alla lista di combinazioni di immunoterapia e chemioterapia che hanno prodotto risultati positivi nel trattamento di prima linea del NSCLC avanzato… ma più che vera innovazione si tratta di un risultato “me too”.
Il trattamento dei tumori del distretto cervicofacciale localmente avanzati prevede la combinazione della radioterapia con un EGFR inibitore nel caso il paziente sia unfit. Sostituirlo con l'immunoterapia è di vantaggio? La risposta di un trial francese.
Le donne con carcinoma mammario che ricevono un trattamento di endocrinoterapia spesso sperimentano gli effetti della deprivazione estrogenica, fra cui la sindrome genito-urinaria caratterizzata da secchezza vaginale, prurito, bruciore, vescica iperattiva e incontinenza urinaria. Tali sintomi potrebbero essere alleviati dalla terapia estrogenica vaginale o dalla terapia ormonale sostitutiva ma ...
Pubblicati i risultati dello studio SOLO1 dopo un follow-up di sette anni: il vantaggio in sopravvivenza è di circa 20 punti percentuali. Lo studio vanta il follow-up più lungo tra gli studi di mantenimento condotti con PARP inibitori in prima linea, e conferma la grande efficacia di questa strategia.